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Spesso si dice che la pet therapy facilita le relazioni, rappresenta un sostegno per la persona. In cosa consiste e perché fa bene.
Grazie alla pet therapy gli animali finalmente smettono di essere merce di consumo e sono impiegati a livello terapeutico con portatori di handicap, cardiopatici, ansiosi e depressi, con anziani e bambini affetti da disturbi anche gravi della personalità, in ospedali, carceri, centri psichiatrici e centri di recupero per tossicodipendenza.
La scienza che prevede l’uso co-terapeutico degli animali per il recupero ed il mantenimento della salute umana attraverso un rapporto interpersonale tra uomo e l’animale, è nata negli Usa, alla fine degli anni sessanta, con il nome di “Animal Assisted Therapy”: qui da noi è conosciuta con il nome di pet therapy.
In realtà, risale alla fine del Settecento il primo esperimento di terapia con animali domestici, quando in Inghilterra l’autocontrollo dei malati mentali era favorito con la cura di alcuni animali da cortile. In Italia l’uso vero e proprio di progetti terapeutici risalgono appena agli anni novanta e hanno coinvolto diverse strutture pubbliche con risultati decisamente positivi.
In pet therapy, finora, il significato terapeutico e benefico della relazione con l’animale non è mai stato attribuito a particolari contributi che dipendono dal coinvolgimento di un pet, in una seduta. Spesso si dice che l’animale suscita emozioni, facilita le relazioni, rappresenta un sostegno per la persona, ritenendo così che l’animale faccia sempre bene. Non è così vero: bisogna capire cosa determina il beneficio, come produrre tale contributo e come correlare il contributo dell’animale al bisogno della persona. Sta qui la differenza fra l’approccio zooantropologico e l’approccio zootecnico alla pet therapy.
L’approccio zooantropologico fa in pratica riferimento al valore della relazione con l’animale, che aiuta la persona ad affrontare un percorso di cambiamento; rispetto all’approccio zootecnico fa emergere una differenza con le situazioni di mero utilizzo del pet da parte dell’uomo. Ecco perché nei progetti di zooantropologia applicata gli animali vanno considerati coinvolti e non utilizzati.
L’animale deve essere considerato come “alterità”, come soggetto e come diverso, cioè come “partner di relazione” evitando la strumentalizzazione e l’antropomorfizzazione; questo gli consente di essere un interlocutore portatore di una prospettiva diversa e nuova per l’uomo, che nel dialogo diviene un valore aggiunto, una referenza; nelle relazioni l’apporto principale non è la performance dell?animale ma questo contributo di cambiamento che si rende disponibile dal dialogo.
Alcune attività di relazione hanno effetti calmanti, altre stimolanti, altre ancora decentranti o capaci di aumentare l’autostima, alcune danno competenze alle persona o la aiutano nelle attività di auto narrazione, altre migliorano la socializzazione o la cura del sé.
I servizi di pet therapy realizzati secondo l’approccio zooantropologico si basano quindi sulla prescrizione di specifiche attività di relazione che variano a seconda degli obiettivi che il medico curante o la figura di riferimento ha predisposto per il proprio paziente e fanno riferimento al documento ufficiale Carta Modena 2002, Carta dei Valori e dei Principi sulla Pet Relationship patrocinato dal Ministero della Salute e riconosciuto da numerosi enti pubblici e associativi.
L’azione positiva che può avere la pet therapy sui bambino con comportamenti autistici risale al 1953 da parte di Boris Levinson, uno psicoterapeuta. Fu proprio lui a gettare le basi scientifiche per la nascita della prima e vera terapia degli animali e per la prima volta viene usato il termine “pet therapy”.
Questo genere di studi continua tutt’oggi, una ricerca pubblicata su Ethos – Journal of the society for psychological anthropology a marzo 2010 ha dimostrato, in particolare, come i cani aiutino i bambini affetti da autismo a comunicare e a interagire col mondo, migliorandone le capacità di socializzazione.
Secondo una ricerca del 2009 della Human society of the United States, gli anziani che possiedono un cane o un gatto sono meno depressi e soffrono meno di solitudine. Anzi: l’amico a quattro zampe può aiutarli a ritrovare una ragione per vivere, migliorandone sensibilmente l’umore e le condizioni psicofisiche.
Il contatto con un cane può aiutare i bambini ad aumentare l’autostima e imparare a prendersi cura di qualcuno e a migliorare la salute. Una ricerca di Kuopio, in Finlandia, condotta per 12 mesi su 400 bambini di età inferiore a un anno, ha dimostrato che i piccoli che vivono a contatto con animali domestici mostravano una riduzione di disturbi come tosse, respiro sibilante e rinite (-30 per cento) e problemi alle orecchie (-50 per cento).
La prima risposta che viene in mente è “l’animale che preferisci”. Sì perché, come sempre, quando si vuole veramente operare un cambiamento, non si può che partire da ciò che ci piace. Ma prima ancora sarebbe bene domandarsi: “quale animale per conoscere il nostro attuale equilibrio?” A questo punto viene spontaneo pensare che ci stiamo avventurando in un gioco estivo, in realtà stiamo invece iniziando a parlare di un percorso alternativo per recuperare benessere lontano da psicofarmaci o altre terapie invasive. Stiamo parlando della zooantropopsicoterapia, nome complicato per designare un nuovo approccio della pet therapy (meglio indicata come Terapia Coadiuvata con gli Animali, T.C.A.), approccio che aiuta a curare i disagi esistenziali umani mediante il rapporto con il proprio animale da compagnia.
Emblematico poi è il fatto che nella maggior parte dei casi, siano due le specie di animali che prendiamo con noi: cani e/o gatti.
Questo in particolare, ci porta a pensare che vi sia un collegamento tra le due entità base del nostro equilibrio, emotività e razionalità, e questi due animali. Dove il gatto con la sua astrattezza, la sua “astuta”capacità di imporsi, la sua indipendenza esistenziale, può essere indicato come una materializzazione della nostra razionalità e viceversa il cane con il suo bisogno di concretezza, di essere in gruppo, e la sua capacità di recepire e assorbire i nostri sentimenti, può essere la personificazione della nostra emotività.
Ecco allora che senza saperlo, questo aiuto e questa relazione li cerchiamo per ridare equilibrio alle nostre entità opposte e sinergiche che sono appunto la razionalità e l’emotività. Si tratta quindi di analizzare e studiare il nostro rapporto con questi animali non solo per auto-conoscerci e auto-accettarci, ma anche per capire se vi sono “scompensi” affettivi e di ruolo. Nel cercare di eliminarli, avremo l’occasione( pilotati da un esperto di relazione uomo-animale) di lavorare su di noi per recuperare e mantenere appunto quell’equilibrio tra gli opposti, indispensabile per il nostro benessere.
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