Il settore automotive sta vivendo una trasformazione epocale. Passare all’elettrico non basta, serve ripensare l’intera filiera, le competenze e le tecnologie. A dirlo i dati della ricerca condotta dal Politecnico di Milano per Geely Italia.
Alla fine, è successo. La Commissione europea ha annunciato che dal 2035 non sarà più obbligatorio vendere solo auto a emissioni “zero”. Cosa prevede la nuova proposta e quali le possibili conseguenze.
Ormai era nell’aria da tempo. E alla fine, dopo settimane di rinvii, pressioni incrociate e delicati negoziati politici è successo. L’Ue ha rinviato lo stop ai motori termici previsto per il 2035. E l’Italia, insieme alla Germania, è tra i principali paesi che hanno sostenuto il rinvio
La verità è che la transizione verso la mobilità sostenibile in Europa così rischia di segnare una battuta d’arresto. Di fatto, la Commissione europea, modificando i piani originali che prevedevano il divieto totale di vendita di auto nuove a benzina e diesel dal 2035, ha di fatto ceduto alle pressioni di una parte dell’industria automobilistica, in particolare di quella tedesca. Ma anche italiana.
Secondo le nuove regole proposte, dal 2035 il 90 per cento delle auto nuove vendute dovrà essere a emissioni zero, mentre il restante 10 per cento potrà includere veicoli con motori a combustione tradizionali, ibridi plug-in, range extender (auto elettriche con un piccolo motore che ricarica la batteria), mild hybrid, oltre a elettrico e idrogeno.
La decisione arriva in risposta alle preoccupazioni dell’Associazione europea dei costruttori automobilistici (Acea), secondo cui la domanda attuale di veicoli elettrici è troppo bassa e senza modifiche alle normative i produttori rischiano sanzioni da miliardi di euro.
“La flessibilità per i produttori è urgente”, aveva dichiarato Sigrid de Vries, direttrice generale dell’Acea. “Il 2035 è alle porte e la domanda di mercato di auto elettriche è insufficiente per evitare il rischio di penali multimiliardarie. Servirà tempo per costruire le infrastrutture di ricarica e introdurre incentivi fiscali adeguati”.
La Commissione europea prevede che i costruttori utilizzino acciaio a basse emissioni di carbonio prodotto nell’Ue per compensare (parzialmente) l’impatto ambientale. Si prevede inoltre un incremento nell’uso di biocarburanti ed e-fuel, carburanti sintetici ottenuti dalla cattura della CO2 (un processo non sempre sostenibile economicamente ed energicamente), per bilanciare le emissioni extra generate dai veicoli termici che resteranno ancora in circolazione.
Qualcuno nel chiedere all’Europa di rivedere gli obiettivi per il 2030 e il 2035 ci ha visto una visione “più pragmatica e meno dogmatica”, come ha spiegato Massimiliano Di Silvestre, presidente e amministratore delegato di Bmw Italia a poche ore dall’annuncio di Bruxelles: “Un passaggio importantissimo, che auspichiamo da anni come Bmw group, e che si ispira al principio della neutralità tecnologica che rappresenta il primo passo serio e consistente di affrontare la tematica della riduzione delle emissioni in modo concreto ed efficace”.
Ma non tutti i produttori hanno accolto positivamente la mossa. Come riporta la BBC, Volvo ha espresso preoccupazione, sottolineando di aver “costruito una gamma completa di veicoli elettrici in meno di dieci anni” ed essere pronta alla transizione totale. “Indebolire gli impegni a lungo termine per vantaggi a breve termine rischia di compromettere la competitività europea per anni”, ha ammonito la casa automobilistica svedese interpellata dall’emittente televisiva britannica. Una posizione confermata anche da Michele Crisci, presidente e amministratore delegato di Volvo Car Italia nell’incontro di fine anno con la stampa: “Volvo resta fedele alla scelta a favore della mobilità elettrica, della decarbonizzazione delle flotte aziendali come strumento strategico di competitività per l’Europa e all’opportunità di sostenere il mercato dei veicoli a emissioni zero di seconda mano di provenienza aziendale a favore degli acquirenti privati”. Un impegno che trova conferma nel lancio per il 2026 di tre nuovi modelli elettrici Volvo: EX90, ES90, EX60, mentre resta l’impegno sui modelli plug-in hybrid, “preziosi per ‘traghettare’ la clientela verso una futura mobilità elettrica”, ha commentato Crisci alludendo al lancio della nuova generazione di ibridi ad autonomia elettrica estesa, XC60 e XC70.
Al contrario, Volkswagen (la Germania è stata fra i maggiori sostenitori di una revisione del regolamento delle emissioni…) ha salutato con favore la proposta, definendola “economicamente solida nel complesso” e sottolineando l’importanza del supporto ai veicoli elettrici compatti e della maggiore flessibilità sugli obiettivi di CO₂.
Ma entriamo nel merito. Al centro del dossier, la revisione del regolamento sulle emissioni di CO2 delle auto, con l’abbandono dell’obiettivo di riduzione del 100 per cento al 2035 a favore di un target del 90, che di fatto riapre la porta al motore termico anche dopo quella data. Una posizione che dovrebbe includere anche i carburanti climaticamente neutri e all’idrogeno.
Una scelta, quella della neutralità tecnologica, che se non governata rischia di minare la transizione ecologica dell’auto e di esporre l’Europa alla concorrenza internazionale, leggasi la Cina. Non solo. La spinta verso la produzione di veicoli a emissioni zero sta già portando nuovi posti di lavoro, investimenti e innovazione, come vedremo più avanti; un percorso che, se interrotto o rallentato rischia di rendere l’Europa meno competitiva rispetto ai mercati globali.
Non solo. Una stabilità normativa, con politiche chiare e coerenti, stabili, può dare alle aziende la fiducia necessaria per investire nelle infrastrutture di ricarica, per attrarre investimenti strategici. Che, in caso di un eventuale allentamento degli obiettivi, invierebbe rischia invece di dare un segnale dannoso a investitori, produttori e partner della filiera, molti dei quali hanno già investito massicciamente nella transizione elettrica, contando proprio sulla coerenza delle politiche. Fin qui il quadro generale. Ma vediamo dove eravamo rimasti.
E per capirlo facciamo prima un passo indietro. Nel 2023 l’Unione europea aveva deciso che entro il 2035 i produttori di auto avrebbero dovuto ridurre le emissioni del 100 per cento, introducendo di fatto lo stop ai motori termici. Con la decisione del 16 ottobre 2025, la riduzione delle emissioni è stata abbassata al 90 per cento aprendo la porta per il restante 10 ai motori ibridi, ai motori termici, soluzioni più impattanti che quindi dovranno essere compensate dall’uso di acciaio verde, oltre che dei citati carburanti alternativi.
Per capire cosa perdiamo e cosa non, ci siamo chiesti cosa guadagnerebbero le industrie italiane dal settore delle auto elettriche? Le risposte le aveva già date un report di Motus-E e dell’Università Ca’ Foscari Venezia sui riflessi occupazionali della trasformazione del settore auto.
Cosa guadagnerebbero le città italiane da una maggiore presenza delle auto elettriche?
Chiariamo: la revisione del pacchetto legislativo sul 2035 proposto dalla Commissione dovrà essere discussa, negoziata e approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Ue, quindi l’iter legislativo è ancora in corso. Una cosa però è certa: le auto elettriche non solo restano la tecnologia abilitante per l’auto a guida autonoma, il vero futuro della mobilità.
Ma sono una grande opportunità su cui puntare se vogliamo garantire più posti di lavoro e nuove professionalità. Le industrie potrebbero risparmiare in termini di produzione e di sistemi di riciclo e recupero materiale dalle batterie. Le nostre città, in cima alle classifiche europee per inquinamento, avrebbero meno rumore e più aria pulita. Chi guida potrebbe pagare meno il carburante e riciclare l’energia nella rete cittadina attraverso le smart grid. Dunque, secondo voi, quella decisa dall’Europa è o meno un’occasione persa?
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