Rave, Covid, viceministri: cosa prevede il primo decreto del governo Meloni

Il primo decreto del governo Meloni stringe le misure sui rave party (e non solo), le allenta sul Covid, tocca la giustizia e presenta i viceministri.

  • Giustizia, ordine pubblico e Covid nel primo provvedimento del governo.
  • Multe, confische e carcere fino a 6 anni per chi organizza raduni come i rave party.
  • Il personale sanitario non vaccinato torna al lavoro.

I medici che erano stati sospesi dal servizio perché avevano rifiutato di vaccinarsi contro il Covid-19 possono tornare in corsia da subito. Invece, chi organizzerà raduni non autorizzati di più di 50 persone occupando edifici pubblici o privati, rischierà grosso in termini di detenzione, multe e confische: è la misura pensata contro i rave party come quello di Modena, ma il cui campo di applicazione potrebbe essere molto più ampio, e che sta scatenando molte polemiche. Sono queste le misure principali prese dal governo Meloni nel primo decreto legge della nuova legislatura, varato al termine di un Consiglio dei ministri che ha anche ufficializzato la lista di viceministri e sottosegretari: tra loro c’è Vannia Gava, della Lega, già sottosegretaria alla Transizione ecologica, che diventa viceministro dell’Ambiente, mantenendo proprio la delega alla transizione.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni © Palazzo Chigi

Nel primo decreto legge Meloni ci sono anche altri interventi importanti per il settore della giustizia: la modifica della norma sull’ergastolo ostativo e il rinvio dell’entrata in vigore della riforma Cartabia sulla giustizia penale.

La norma anti-rave party

Per 48 ore consecutive, lo scorso weekend, circa 4mila giovani hanno occupato un capannone abbandonato fuori Modena, trasformando l’area in un rave party di musica techno e performance che sarebbe dovuto durare fino al ponte del 2 novembre. Il raduno è stato però sgomberato pacificamente al mattino del lunedì 31 ottobre dalla polizia. Contemporaneamente, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e la premier Giorgia Meloni hanno introdotto nel primo decreto una norma di ordine pubblico che punisce “l’invasione di terreni o edifici, pubblici o privati, con la reclusione da 3 a 6 anni e una multa da mile a 10mila euro, se il fatto è commesso da più di 50 persone allo scopo di organizzare un raduno dal quale possa derivare un pericolo per l’ordine pubblico o la pubblica incolumità o la salute pubblica. Si prevede la confisca delle cose utilizzate per commettere il reato”.

Una sorta di norma ad hoc, ribattezzata infatti norma anti-rave party, tanto che Piantedosi ha detto in conferenza stampa che “la cronaca testimonia che eravamo particolarmente fragili dal punto di vista normativo”. Ma ancora più chiara è stata la premier, che ha paragonato il caso di Modena a quello di Viterbo, di un anno fa, quando era in carica il governo Draghi: “Lo Stato ha dato una impressione di lassismo sul piano del rispetto della legalità, e dunque era più agevole organizzare degli eventi come il rave party di Viterbo: così accadde perché quelle persone andarono via da sole, come se lo Stato non esistesse. Il segnale che io voglio dare è che l’Italia non è il paese nel quale si può venire quando si vuole delinquere”.

In realtà però la norma contenuta nel primo decreto, come segnala anche Amnesty Italia, per la sua genericità rischia di poter essere applicata non solo ai rave party e alla pubblica incolumità (come nel caso del capannone di Modena che era considerato pericolante) ma a molte altre casistiche: ad esempio le occupazioni di centri sociali, o quelle poste in essere dagli studenti nelle scuole o nelle università, come per esempio avvenuto alla Sapienza di Roma nei giorni scorsi.

Un’altra criticità è stata rilevata nella pena carceraria: per i reati la cui pena massima è superiore a 5 anni, infatti, è prevista la possibilità di utilizzare le intercettazioni telefoniche, uno strumento di indagine particolarmente invadente e destinato generalmente a reati ben più gravi. Per questo, all’interno della stessa maggioranza, si sta valutando di intervenire modificando la norma in Parlamento, riducendo la pena massima a 4 anni.

Le norme sul Covid

Erano 4mila i medici “no vax”: non si erano vaccinati contro il Covid, e per le norme introdotte nella scorsa legislatura durante lo stato di emergenza erano stati sospesi dal servizio, senza perdere però il posto di lavoro. Sarebbero potuti rientrare in servizio il 31 dicembre, lo hanno potuto fare già dal 1 novembre, perché il decreto ha anticipato la scadenza dell’obbligo. “Gli operatori della sanità erano gli unici per i quali era ancora prevista l’obbligatorietà vaccinale – ha spiegato la presidente del Consiglio – abbiamo deciso di anticipare la fine dell’obbligo perché ci consente di prendere 4mila persone ferme e metterle al lavoro, in un momento di grave carenza di organico”.

Una spiegazione suffragata dal ministro della Salute Orazio Schillaci, per il quale “l’impatto del Covid continua a essere basso sugli ospedali, e c’è il problema della grave carenza di personale, con il ricorso a medici extracomunitari o a gettone: crediamo che rimettere al lavoro questi medici serve soprattutto a contrastare questa penuria di personale, garantendo così il diritto alla salute”. Resterà invece l’obbligo di mascherine negli ospedali e nelle strutture di ricovero per anziani.

Gli interventi in materia di giustizia

Per quanto riguarda il cosiddetto ergastolo ostativo (cioè l’impossibilità di accedere ai benefici carcerari come sconti o pene alternative per i condannati per mafia che non collaborino con la giustizia: una norma giudicata lesiva dei principi di uguaglianza dalla Corte costituzionale nel 2021) il primo decreto del governo Meloni stabilisce che i benefici siano comunque applicabili nel caso in cui sia almeno avvenuto un risarcimento alle vittime e la provata interruzione di ogni rapporto con la mafia.

Inoltre il governo ha rinviato di due mesi l’entrata in vigore della riforma Cartabia sulla giustizia penale, approvata definitivamente il 24 settembre, che punta a rafforzare il rispetto del diritto costituzionale delle vittime e degli imputati a una ragionevole durata del processo e a raggiungere l’obiettivo, stabilito con il Piano nazionale di ripresa e resilienza, di ridurre la durata media dei processi penali del 25 per cento entro il 2026. I provvedimenti riguardano la procedura penale, il sistema sanzionatorio penale e la giustizia riparativa.

“Nei giorni scorsi il ministro della Giustizia è stato raggiunto da una lettera a firma di tutti i procuratori generali d’Italia che segnalavano come le disposizioni previste, in assenza degli strumenti per poter adempiere le previsioni, rischiavano di creare problemi significativi al nostro ordinamento – ha detto Meloni, riferendosi soprattutto al fatto che molto uffici di giustizia sono ancora indietro dal punto di vista informatico -. La norma prevede molti adempimenti ma i nostri uffici giudiziari non sono pronti e questo rischiava di produrre una paralisi del nostro sistema giudiziario”. La presidente del Consiglio ha assicurato che il rinvio non impatterà sul cronoprogramma del Pnrr perché “nelle indicazioni della Commissione europea questo è uno dei paletti che noi dobbiamo presentare entro il 31 dicembre”.

I nuovi viceministri

Il Consiglio dei ministri, inoltre, ha completato la squadra di governo con viceministri e sottosegretari. In particolare, al ministero dell’Ambiente, Vannia Gava è stata nominata viceministra alla Transizione ecologica. Gava, siciliana, esponente della Lega, era già sottosegretaria al Mite nel governo Draghi: dall’allora ministro Roberto Cingolani (che continuerà a collaborare col nuovo governo in veste di consulente) aveva ricevuto le deleghe per il Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess), per lo spazio e la ricerca aerospaziale, per il monitoraggio ambientale, l’economia circolare, il ciclo dei rifiuti e dell’agricoltura sostenibile. Il sottosegretario Claudio Barbaro, di Fratelli d’Italia, si occuperà invece di energia.

Due i viceministri per le Infrastrutture e la mobilità sostenibili: uno sarà l’avvocato bolognese Galeazzo Bignami, militante della destra sin da giovane, e nel mezzo di qualche polemica per una vecchia foto in cui compare vestito da nazista, con la fascia rossa la svastica al braccio, un travestimento da lui definito “una goliardata tra amici”. Serio era invece il video in cui nel 2019 Bignami passava in rassegna i citofoni degli alloggi popolari di Bologna mostrando i cognomi degli assegnatari di origine straniera: “Una polemica contro le regole di assegnazione – aveva spiegato – non contro gli stranieri in sé”.

L’altro è il leghista Edoardo Rixi, già sottosegretario e poi viceministro ai Trasporti nel primo governo Conte: è stato assolto in via definitiva nel 2022 dall’accusa di peculato e falso per cui era stato condannato nel 2019, e per il quale aveva rassegnato le dimissioni. Nella sua precedente esperienza ebbe l’arduo compito di lavorare, lui genovese, al Decreto Genova per gestire l’emergenza e la ricostruzione del ponte Morandi dopo il tragico crollo dell’agosto 2018.

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