Perché è stato approvato un altro decreto Sicurezza quasi uguale all’ultimo?

il governo ha sovrascritto il vecchio ddl cambiando (poco) le norme su detenute madri, rivolte in carcere, Sim per migranti, proteste contro grandi opere.

  • Il nuovo decreto Sicurezza è legge: ok, ma non ne era stato approvato uno uguale meno di un anno fa?
  • Sì, ma era un disegno di legge e il governo l’ha sovrascritto con un nuovo testo, un decreto appunto, ‘saltando’ il Parlamento, dopo i rilievi del Quirinale.
  • Detenute madri, rivolte in carcere, Sim per i migranti, proteste contro opere pubbliche: ecco cosa è cambiato (poco).

Ma il decreto sicurezza di cui tanto si parla, approvato la scorsa settimana dalla Camera tra mille polemiche anche nelle piazze e atteso ora in Senato per il via libera definitivo, non era stato già approvato mesi fa? Sì, però no.
Ecco, in breve, cosa è successo in questi mesi: lo scorso settembre, la Camera aveva dato il via libera al disegno di legge Sicurezza che era stato varato dal Consiglio dei ministri nell’aprile 2024, e che conteneva ben 25 nuove fattispecie di reato e che per questo era stato molto criticato dalla società civile. Finché anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, aveva avuto da ridire, chiedendo dei correttivi su dei punti specifici: le proteste contro le opere pubbliche; l’obbligo per le pubbliche amministrazione e le università di collaborare con i servizi segreti; le condotte di resistenza passiva dentro le carceri; l’obbligo per i migranti di avere un permesso di soggiorno per poter acquistare una sim telefonica.  

Invece di far passare queste modifiche nei lavori del Senato, come sarebbe stato normale, il governo di fronte a uno stallo durato mesi ha allora deciso di varare un nuovo decreto sicurezza che contenesse di fatto le stesse norme di prima, con le correzioni chieste dal Quirinale, e che di fattispecie di reato ne introduce 14. Il disegno di legge (che per entrare in vigore ha bisogno di essere eventualmente modificato ed approvato dal Parlamento) è diventato dunque decreto legge (che invece entra in vigore immediatamente, e dunque già lo è, a prescindere dall’esame delle Camere): un’operazione inedita, nella storia della Repubblica parlamentare italiane, che già di per sé ha attirato sul governo nuove critiche proprio per lo svilimento del ruolo del Parlamento.

Cosa è cambiato nel decreto Sicurezza rispetto a prima

Rispetto alla versione originale, dunque, restano invariate le norme principali e l’impianto del testo, mentre cambiano così le norme su qui il Quirinale aveva chiesto correttivi:

Niente obbligo di collaborare coi servizi di sicurezza

Le pubbliche amministrazioni, università, enti di ricerca e gestori di servizi pubblici non saranno più obbligati a stipulare convenzioni o a fornire dati ai Servizi di sicurezza, come si prevedeva inizialmente: La collaborazione resta facoltativa e deve rispettare la normativa sulla privacy, eliminando ogni deroga automatica. La norma, come era scritta precedentemente, era stata contestata perché introduceva di fatto la possibilità di controlli dei servizi su ogni attività di ricerca o delle pubbliche amministrazioni

Le rivolte in carcere

È stato limitato il campo di applicazione del reato di rivolta in carcere e nei Centri per il rimpatrio: il reato si configura solo se vengono violati ordini legati all’ordine e alla sicurezza. Esclusa del tutto la possibilità di applicare il reato di rivolta nei centri di accoglienza, che non hanno natura detentiva.

La versione precedente invece introduceva l’aggravante del reato di istigazione a disobbedire alle leggi, se commesso all’interno di un istituto penitenziario e, dall’altro, il delitto di rivolta all’interno di un istituto penitenziario, con pene fino a 8 anni di carcere per la partecipazione alla rivolta, con aggravanti se vengono usate armi, se si causano lesioni personali o la morte, con pene fino a 20 anni di reclusione. Ma soprattutto si puniva anche la resistenza passiva, ad esempio quella dei detenuti che protestassero contro le condizioni talvolta disumane degli istituti italiani, magari rifiutando il cibo offerto.

Le proteste contro opere pubbliche

Viene limitata l’aggravante di pena alle sole proteste violente che ostacolano infrastrutture di interesse strategico, ma solo se legate a energia, trasporti, telecomunicazioni altri servizi pubblici essenziali. Di fatto viene eliminata la discrezionalità del Governo nel decidere arbitrariamente quali opere proteggere con aggravanti. Rimane comunque una norma in grado potenzialmente di limitare le proteste contro progetti controversi (si pensi al ponte sullo Stretto di Messina, l’Alta Velocità Torino-Lione, gli impianti di termovalorizzazione, in un futuro anche le nuove centrali nucleari…)  con il rischio di reprimere il dissenso legittimo.

manifestazione no ponte
Dopo vent’anni di proteste contro il ponte sullo Stretto arriva la cornice legale mirata a ridurle © Movimento “No ponte” / Facebook

Sim telefoniche per migranti 

Sarà sufficiente un documento d’identità (non più il permesso di soggiorno) per ottenere una Sim telefonica. L’obiettivo del rilievo del presidente della Repubblica era evitare l’esclusione comunicativa di chi è appena sbarcato e non ha ancora i documenti completi. Di fatto però anche così la norma penalizza chi è appena sbarcato, spesso privo di qualsiasi documento di identità: il rischio è quello di marginalizzare, da un lato, o nutrire il mercato ‘nero’ di documenti e Sim card, senza veramente risolvere un problema che non c’è.

Reati contro pubblici ufficiali

La prima versione del decreto prevedeva che le aggravanti prevalessero sempre sulle attenuanti nei reati come resistenza o lesioni a pubblico ufficiale. Il Quirinale ha chiesto (e ottenuto) che il giudice possa valutare anche le attenuanti, per garantire equità e proporzionalità della pena.

Carcere per donne incinte e madri con neonati

Il ‘vecchio’ ddl sicurezza rendeva facoltativo, e non più obbligatorio, il rinvio dell’esecuzione della pena per le detenute madri, ovvero donne incinte o con bambini piccoli, al di sotto dei 3 anni di età:; con quella norma invece le madri potevano andare in carcere, oppure in appositi istituti a custodia attenuata (Icam) con i propri figli.

Ora sarà obbligatoria, e non più facoltativa, la custodia in istituti a custodia attenuata, e non in carcere.  Rimane però a discrezione del giudice il rinvio dell’esecuzione della pena. Il problema degli Icam è che, oltre a essere in tutto e per tutto delle carceri, in Italia ce ne sono solamente 3, e tutti al Nord: il che significa per le detenute madri del centro e Sud Italia l’obbligo di essere trasferite a centinaia di chilometri da casa e dagli affetti del bambino.

Una legge che non convince ancora 

In generale, le modifiche apportate in seguito ai rilievi del Quirinale non sono state ritenute molto significative da buona parte della società civile e dal mondo dell’associazionismo, che infatti sabato 31 maggio hanno dato vita a una grossa manifestazione a Roma.

 

Secondo Amnesty Italia, per esempio “dopo le difficoltà riscontrate nel raggiungimento di una veloce approvazione del disegno di legge, arriva un decreto per aggirare ogni ostacolo. Quasi tutti i contenuti relativi al diritto di protesta, che erano stati contestati da Amnesty International Italia sono stati ripresi in questo decreto. Dalla dotazione di bodycam per le forze di polizia, senza l’introduzione dei codici identificativi alfanumerici, alla punibilità dei blocchi stradali con un mese di carcere e una multa fino a 300 euro, una pena da sei mesi fino a due anni qualora siano più persone a bloccare la strada. L’inasprimento delle sanzioni per chi protesta pacificamente arriva in un contesto in cui sempre più spesso la forza è usata in modo eccessivo e ingiustificato per disperdere le proteste pacifiche, e queste restrizioni sono state anticipate da una narrazione stigmatizzante e criminalizzante di media e politica. Esprimere il proprio dissenso in Italia è diventato rischioso. Ma la protesta non può essere un privilegio. Ora più che mai non possiamo restare in disparte e in silenzio”.

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