Pnrr, come evitare il rischio di un’occasione sprecata

Il piano trasmesso alla Commissione europea servirà per rilanciare il nostro paese dopo la crisi scatenata dalla pandemia. Restano però molti dubbi sulla transizione ecologica.

Non ci sarà un’altra occasione. Come pure una tale iniezione di denaro pubblico nelle arterie del paese. E se il presidente del Consiglio Mario Draghi ha detto che nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) “c’è il destino del paese”, chi ha analizzato le circa 270 pagine del documento approvato da Camera e Senato e trasmesso all’Europa, vede molte incongruenze tra gli annunci fatti in favore di un rilancio del paese in chiave sostenibile, e la realtà di progetti e fondi allocati nei settori strategici. Entro due mesi avremo la valutazione della Commissione europea, seguita dal via libera del Consiglio Ecofin, mentre si stima che già a luglio potrebbe esserci la prima tranche.

Pnrr, l’analisi sulla rivoluzione verde

Certamente il piano, sulla carta, presenta degli obiettivi importanti per la ripresa post pandemia del nostro paese, ma per alcuni analisti potrebbe essere un’occasione sprecata per proiettare l’Italia tra i leader nella rivoluzione verde in Europa. Secondo il neonato think tank indipendente Ecco, il Pnrr “è un’occasione persa per fare della transizione ecologica il traino della crescita sostenibile, di nuova occupazione e del rientro del debito”. Così come strutturato, “non contribuisce a rafforzare la credibilità internazionale dell’Italia sul clima nell’anno del G20 italiano e della COP26 e dopo i nuovi impegni usciti dal Summit di Biden del 22 aprile”.

Matteo Leonardi, co-fondatore del gruppo di lavoro, commenta a LifeGate: “Non si invoca una rivoluzione verde quando la rivoluzione non c’è. Gli oltre 60 miliardi del budget green non sono efficaci per innescare l’innovazione necessaria. Poco su rinnovabili e in settori non strategici. La spesa su efficienza non risulta essere in grado di innescare gli investimenti privati ed è poco efficace sugli edifici pubblici. Manca interamente una visione della mobilità elettrica e si confonde l’alta velocità con la mobilità sostenibile”.

Secondo gli analisti il Pnrr prevede troppo poco su rinnovabili e in settori non strategici © Andreas Gücklhorn/Unsplash

Rinnovabili, risorse insufficienti

Sugli investimenti per un rilancio delle rinnovabili, al palo ormai da 10 anni, i cori che si levano sono piuttosto unanimi. Le Ong ambientaliste – Wwf, Greenpeace, Legambiente, Kyoto Club e Transport & Environment – in una nota congiunta spiegano che il Pnrr prevede risorse per soli 4mila megawatt, per le comunità energetiche e l’agrivoltaico. In entrambi i casi non sono previste riforme sulla regolazione e la fiscalità energetica che permetterebbero di trasformare l’incentivo in una politica di sviluppo. Solo 200 megawatt con 0,68 miliardi sarebbero infatti destinati per lo sviluppo di rinnovabili incluso l’eolico off-shore.

Lo stesso appunto viene sempre da Ecco che spiega come non ci sia traccia di un vero e proprio rilancio delle rinnovabili in Italia. Nel piano trova spazio esplicito solo un’espansione di capacità di 4,2 GW a fronte della necessità di crescita annua di 5-6 GW per rimanere in linea con gli obiettivi di sviluppo europeo e che consentirebbero al paese di mantenere la traiettoria di decarbonizzazione.

Di diverso avviso Elettricità futura, la principale associazione del settore elettrico, che spiega come il piano contenga diversi provvedimenti per superare gli ostacoli che da troppo tempo bloccano gli operatori del settore elettrico e dell’Italia intera. Va in questa direzione l’introduzione di un iter speciale per le opere previste dal Pnrr, così come di una nuova disciplina per lo sviluppo degli impianti rinnovabili.

Non la pensa così Livio de Santoli, presidente del coordinamento Fonti rinnovabili ed efficienza energetica (Free): “Sulle fonti rinnovabili si punta a un incremento, ma non ci siamo. I pochi numeri che troviamo sull’argomento, infatti, confermano 2 gigawatt per l’agrivoltaico, 2 gigawatt per le comunità energetiche, e solo per i comuni al di sotto di 5mila abitanti, quando invece occorrerebbe includere le aree industriali e le periferie delle metropoli”. Mentre solo 0,2 gigawatt per l’off shore, praticamente un unico grande impianto.

Infine una grossa fetta delle risorse (1,92 miliardi) è prevista per lo sviluppo del biometano, colto ovviamente con favore dal Consorzio italiano biogas (Cib), che vede questo investimento come un importante volano nel settore primario in progetti immediatamente cantierabili nella filiera agricola e agroindustriale italiana. Secondo Pietro Gattoni, presidente del Cib: “Questo risultato è frutto di un profondo lavoro di sensibilizzazione svolto dal consorzio anche grazie al progetto Farming for Future, che ha permesso di aprire un dialogo costante con le associazioni agricole, il mondo dell’ambientalismo scientifico, il mondo industriale e con le istituzioni nazionali”.

Di diverso avviso Ecco che spiega come il mercato di riferimento della transizione energetica italiana e della sua industria non possa essere il mercato italiano del gas, ma quello europeo e globale in cui l’elettrificazione, e le sue catene di valore, stanno diventando dominanti.

Il totale sull’efficienza energetica stanziato è di 22,26 miliardi di cui 15,54 da Pnrr e 6,72 da fondo complementare © Go to Scott Blake’s profile
Scott Blake/Unsplash

Efficienza energetica, bene Superbonus ma dimenticata l’industria

Il totale sull’efficienza energetica stanziato è di 22,26 miliardi di cui 15,54 da Pnrr e 6,72 da fondo complementare. Circa 20 miliardi sono indirizzati all’efficienza energetica negli edifici attraverso la copertura dell’ecobonus 110 per cento. Nulla è dedicato all’efficienza nell’industria nonostante l’immenso potenziale di risparmio ed i benefici economici associati. “Affidarsi unicamente al 110 per cento significa solo edilizia e rinunciare a fare leva sugli investimenti privati soffocando le possibilità espansive della strategia e le possibilità di decarbonizzare i nostri consumi”, scrivono le associazioni.

Questi interventi potrebbero avere un effetto boomerang e diventare uno spreco di risorse pubbliche senza generare impatto “perché occupano un settore finanziabili da investimenti privati, da accesso agli incentivi a caldaie a gas fossile e obbliga alla sola efficienza di due classi di energia vanificando il potenziale impatto profondo”, scrive Ecco. Inoltre rimane ancora poco chiaro come verranno spesi i 3,9 miliardi per l’efficienza e la sicurezza dell’edilizia scolastica rispetto ai 40 miliardi necessari per l’efficientamento di tutto il parco edilizio scolastico.

Il Pnrr su accumulo e idrogeno

Il Pnrr rimane incerto nello sviluppo degli accumuli elettrochimici, ciononostante questa sia una tecnologia fondamentale per la decarbonizzazione del sistema elettrico. Si contano infatti solo 1 miliardo di euro a disposizione, da spartire con lo sviluppo delle rinnovabili. Inoltre sarebbe scomparso il pompaggio elettrico, presente invece nella Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile firmata prima dell’arrivo di Draghi e presente anche nel Pniec: si parlava di un obiettivo di 10 gigawatt di nuovi accumuli al 2030. Ritenuto buono invece l’impegno per lo sviluppo dell’idrogeno, con 3,64 miliardi. Anche se non si parla apertamente di idrogeno “verde” e questo scatena non pochi dubbi sulla possibilità di produrre il gas da fonti rinnovabili. Il piano tuttavia sembra escludere la possibilità di ricorso all’idrogeno blu – quello realizzato stoccando la CO2 prodotta tramite tecnologie Ccs (Carbon capture and storage). ma servono più garanzie.

Nel Pnrr mancherebbe un riferimenti esplicito al raggiungimento degli obiettivi delle Strategie Ue ‘Farm to Fork © Red Zeppelin/Unsplash

Agricoltura ed economia circolare, la grande delusione

Le maggiori critiche arrivano nella mancata volontà di rivedere l’intero settore degli allevamenti intensivi e all’eccessiva attenzione che viene data allo sviluppo del biometano. Secondo Andrea Bonelli dei Verdi “manca un riferimento esplicito al raggiungimento degli obiettivi delle Strategie Ue ‘Farm to Fork’ e ‘Biodiversità 2030’ indicando la priorità dell’incremento della superficie agricola certificata in agricoltura biologica, lo sviluppo di filiere del made in Italy biologiche e la creazione dei biodistretti, con priorità nelle aree naturali protette, individuando risorse e percorsi condivisi per ridurre l’uso sistematico di fertilizzanti chimici e pesticidi”. Dello stesso avviso anche le associazioni che ravvisano un’eccessiva attenzione all’agricoltura di precisione, dato che questo tipo di impostazione è finalizzata ad una molteplicità di scopi, come l’aumento dell’efficienza produttiva ed economica, che solo in alcuni casi possono essere accompagnati anche da benefici ambientali.

La Coldiretti dal canto suo plaude l’attenzione alla gestione delle risorse idriche, per la quali sono stati stanziati 4,8 miliardi. L’associazione ritiene fondamentale “conservare l’acqua piovana con strutture ad hoc perché oggi se ne riesce a tesorizzare solo il 10%. La risorsa idrica è fondamentale infatti per conseguire l’obiettivo dell’aumento delle rese produttive, in un’ottica di autosufficienza alimentare, ma anche per garantire livelli elevati di standard qualitativi”.

Disappunto arriva anche per lo spazio relegato all’economia circolare che, secondo de Santoli “è citata quasi esclusivamente come se riguardasse solo il ciclo dei rifiuti comunque considerati nella loro accezione tradizionale, e quando si accenna alla intera filiera di prodotto ci si riferisce al solo settore agricolo”. Un’idea obsoleta perché “pericolosa per la politica industriale del nostro paese che invece con il New Generation Eu va potenziata”. Dello stesso avviso le altre associazioni che spiegano perché i rifiuti siano solo la componente a valle del ciclo di un prodotto: “La componente del rifiuto è solo una parte dell’economia circolare che include il design, la realizzazione del prodotto, la ricerca di nuovi materiali ad impatto zero e completamente riciclabili”.

Resta il fatto che ci troviamo di fronte ad uno stanziamento di fondi mai avvenuto nella storia moderna, con quasi 248 miliardi di euro che saranno finanziati al nostro paese. La scommessa rimane, e non ci si può che augurare che il pragmatismo e la preparazione di chi dovrà gestire questi fondi sia tale da essere ricordata nei decenni a venire.

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