Lo spreco di cibo – dal residuo in campo alla produzione e distribuzione allo spreco domestico – vale nel mondo circa 2.000 miliardi di euro. In Italia lo spreco domestico vale lo 0,5% del nostro Pil, oltre 8 miliardi di euro. Da un terzo a quasi metà del cibo, che potrebbe sfamare qualcuno, va invece
Lo spreco di cibo – dal residuo in campo alla produzione e distribuzione allo spreco domestico – vale nel mondo circa 2.000 miliardi di euro. In Italia lo spreco domestico vale lo 0,5% del nostro Pil, oltre 8 miliardi di euro. Da un terzo a quasi metà del cibo, che potrebbe sfamare qualcuno, va invece in pattumiera.
Quasi metà del cibo che viene prodotto nel mondo, oltre un miliardo e mezzo di tonnellate, finisce nella spazzatura, benché sia in gran parte commestibile
Il dato, emerso da un rapporto del gennaio 2013 dell’Institution of Mechanical Engineers, associazione degli ingegneri meccanici britannici, è stato via via confermato da diversi studi successivi, su scala continentale. Fra le cause di questo spreco di massa ci sono le cattive abitudini di milioni di persone, che non conservano i prodotti in modo adeguato. Ma è colpa anche delle date di scadenza troppo rigide apposte sugli alimenti, le promozioni che spingono i consumatori a comprare più cibo del necessario, i numerosi passaggi dal produttore al consumatore nelle catene di montaggio dei cibi industriali.
Quanto cibo si spreca nel mondo
La stima inglese dell’Ime è lievemente superiore – ma nello stesso ordine di grandezza– di quella della Fao secondo cui oltre un terzo del cibo prodotto ogni anno per il consumo umano, cioè circa 1,3 miliardi di tonnellate, va perduto o sprecato, contenuta nello studio intitolato Global Food Losses and Food Waste (Perdite e spreco alimentare a livello mondiale). Lì si dice che i paesi industrializzati e i paesi in via di sviluppo sperperano, rispettivamente, 670 e 630 milioni di tonnellate di cibo ogni anno. Il documento era stato commissionato dalla Fao all’Istituto Svedese per il cibo e la biotecnologia (Sik) in occasione di Save the Food. Solutions for a world aware of its resources, nel 2011.
Solo nei Paesi industrializzati vengono buttate 222 milioni di tonnellate di cibo ogni anno: una quantità che sarebbe sufficiente a sfamare l’intera popolazione dell’Africa Sub Sahariana. La Fao ha anche promosso un altro studio, intitolato Food Wastage Footprint: Impacts on Natural Resources (L’impronta ecologica degli sprechi alimentari: l’impatto sulle risorse naturali), la prima sistematica indagine scientifica ad aver analizzato l’impatto delle perdite alimentari dal punto di vista ambientale, esaminando specificamente le conseguenze che esse hanno per il clima, per le risorse idriche, per l’utilizzo del territorio e per la biodiversità.
E non si tratta solamente di un costo intollerabile in costo di vite umane, di fame e privazioni. Anche lo sperpero di risorse naturali è un problema. Ogni anno, il cibo che viene prodotto e non consumato, sperpera un volume di acqua pari al flusso annuo di un fiume come il Volga; utilizza 1,4 miliardi di ettari di terreno – quasi il 30 per cento della superficie agricola mondiale – ed è responsabile della produzione di 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra. Nel mondo industrializzato, la maggior parte del cibo sprecato viene dai consumatori che ne comprano troppo e poi lo buttano. Nei paesi in via di sviluppo si tratta invece di sprechi dovuti a un’agricoltura stentata o alla mancanza di modalità di conservazione.
Quanto cibo si spreca in Europa
In Europa, la quantità di cibo prodotto e buttato ammonta a 89 milioni di tonnellate, ovvero a una media di 180 kg pro capite. Ma potrebbero arrivare a 126 tonnellate nel 2020. Primi in Europa per sprechi pro capite sono i Paesi Bassi, mentre il Regno Unito è in cima alla classifica per il totale di rifiuti alimentari prodotti, con 14.257 tonnellate all’anno. L’Italia, undicesima in Europa per sprechi pro capite, è sesta per il totale con 10.497 tonnellate all’anno.
Quanto cibo si spreca in Italia
Se lo spreco di cibo – dal residuo in campo alla produzione e distribuzione allo spreco domestico – vale nel mondo circa 2.060 miliardi di euro, in Italia ci costa lo 0,5% del nostro Pil, oltre 8 miliardi di euro, secondo la ricerca Last Minute Market del 2015. In Italia ogni anno finiscono tra i rifiuti dai 10 ai 20 milioni di tonnellate di prodotti alimentari, per un valore di circa 37 miliardi di euro. Un costo di 450 euro all’anno per famiglia. Cibo che basterebbe a sfamare, secondo la Coldiretti, circa 44 milioni di persone. Secondo l’Osservatorio sugli sprechi, a livello domestico in Italia si sprecano mediamente il 17% dei prodotti ortofrutticoli acquistati, il 15% di pesce, il 28% di pasta e pane, il 29% di uova, il 30% di carne e il 32% di latticini. Per una famiglia italiana questo significa una perdita di 1.693 euro l’anno.
Secondo il rapporto del Politecnico di Milano ‘Surplus food management’ vi sono 5,6 milioni di tonnellate di cibo generate in eccesso (16% dei consumi annui). All’interno della filiera, il 2,8% si perde nella fase di produzione, 0,4% nella trasformazione. Il 43% dello spreco avviene in ambito domestico, cioè in famiglia (dunque con basso grado di recuperabilità) ma un buon 57% è dovuto agli attori della filiera, e qui ci si può impegnare molto di più. Oggi, solo il 9% è recuperato, ma è interessante notare che è il 10% in più di quanto riscontrato nello stesso studio svolto 4 anni prima. L’obiettivo da porsi è riuscire ad arrivare a 1 milione di tonnellate recuperate all’anno.
Il quadro normativo italiano è buono, rispetto agli altri Paesi europei, grazie alla “legge del buon samaritano” e a una serie di incentivi fiscali già in atto. Ma soprattutto l’impianto è volto a incentivare il recupero, invece che a sanzionare lo spreco (approccio scelto da progetti di legge di altri Paesi).
Questo articolo è parte della campagna Interdependence Day promossa da UBI Unione Buddhista Italiana e LifeGate.
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