San Valentino. Le rose importate dal Kenya nascondono caporalato e inquinamento

Dietro alle rose regalate a San Valentino si nasconde una scia di sfruttamento lavorativo e inquinamento ambientale nei paesi di produzione, come Kenya e Colombia.

  • Ogni San Valentino in Italia vengono vendute circa 14 milioni di rose ma quest’anno più che mai saranno d’importazione.
  • Paghe molto basse, licenziamenti senza preavviso e abusi sessuali sembrano più la normalità che l’eccezione nelle serre di rose del Kenya.
  • L’uso massivo di acqua per la coltivazione delle rose e i fertilizzanti stanno poi creando un problema ambientale nell’area.

14 febbraio significa San Valentino e quindi anche una vendita massiva di fiori, rose in particolare. Un cliché per eccellenza, dietro al quale però si nascondono diverse ombre che hanno a che fare con la crisi energetica e con lo sfruttamento lavorativo e l’inquinamento ambientale in altre aree del Pianeta.

Il rincaro dei prezzi dell’elettricità sta avendo un impatto negativo sulle imprese florovivaistiche italiane ed europee e quest’anno più che mai la festa degli innamorati è all’insegna delle rose importate da paesi extracomunitari, come il Kenya o la Colombia. Dove però l’industria floreale con le sue serre crea non pochi problemi, tra sovrasfruttamento delle scarse risorse idriche e diffusione di sostanze tossiche.

Un San Valentino non sostenibile

Ogni San Valentino in Italia vengono vendute qualcosa come 14 milioni di rose. Spesso si tratta di esemplari made in Italy, dal momento che il Belpaese è nella top ten dei maggiori produttori mondiali, ma quest’anno saranno in circolazione molte più rose d’importazione.

Come denuncia Coldiretti, quello del 2022 rischia di essere il primo San Valentino senza fiori italiani a causa del rincaro dei costi energetici e dell’impatto di tutto questo sulla produzione floricola nazionale. “L’emergenza energetica si riversa non solo sui costi di riscaldamento delle serre, ma anche sui carburanti per la movimentazione dei macchinari, sui costi delle materie prime, fertilizzanti, vasi e cartoni”, spiega l’associazione che rappresenta l’agricoltura italiana.

Le rose di quest’anno saranno soprattutto del Kenya. L’industria floricola è un pilastro dell’economia del paese africano, con circa 150mila persone impiegate e un giro d’affari che vale l’1 per cento del Pil. Dietro a tutto questo però c’è un mondo fatto di sfruttamento lavorativo e ambientale, che rende le rose che vedremo in giro questo San Valentino un prodotto tutto tranne che sostenibile. Paghe molto basse, licenziamenti senza preavviso e abusi sessuali sembrano più la normalità che l’eccezione nelle serre di rose del Kenya, tanto che l’organizzazione internazionale Fairtrade ha predisposto la creazione di appositi comitati per la difesa dei diritti delle donne in ogni distretto di produzione.

Un altro grande problema riguarda l’impatto ambientale dell’industria delle rose. Queste necessitano di abbondante quantità di acqua, circa 10 litri per ogni fiore, un problema in una regione dove l’accesso all’acqua della popolazione è un privilegio a causa delle scarse scorte e del prosciugamento di fiumi e laghi per la siccità. L’utilizzo massivo di fertilizzanti sta poi riempiendo di sostanze tossiche i pochi corsi e bacini d’acqua esistenti, come il lago Naivasha. Il problema è divenuto di dominio nazionale e internazionale e ora alcune compagnie locali sono impegnate in progetti ecologici per cercare di ridurre gli scarichi e preservare l’ambiente.

Le rose non sostenibili della Colombia

Se il Kenya è il paese per eccellenza da cui si importano rose, con gli anni si stanno sviluppando anche altri mercati. Nel 2012 su 5 miliardi di rose in commercio in Europa, il 50 per cento giungeva da quel paese, ma con il passare degli anni anche Etiopia, Ecuador e Cina si sono ritagliati un loro ruolo importante.

Per gli Stati Uniti invece il mercato di riferimento è un altro: circa l’80 per cento dei fiori che circolano nel paese arriva dalla Colombia, oggi il secondo esportatore di fiori al mondo dopo l’Olanda. L’impatto ambientale e quello sociale non sono di poco conto: secondo uno studio di qualche anno fa, tra costi di importazione e conservazione delle rose ogni San Valentino negli Stati Uniti comporta l’emissione di 9mila tonnellate di anidride carbonica.  Le donne che si trovano nei campi di rose colombiani hanno poi stipendi da poche decine di dollari a settimana e sono esposte in modo continuativo a sostanze chimiche fertilizzanti senza mezzi di protezione, che causano loro diverse patologie. Come poi denuncia la ong Witness for Peace, nei momenti caldi dell’anno come quello di San Valentino si arriva a turni lavorativi di 22 ore per sei giorni alla settimana. La prova che dietro alla festa degli innamorati si nasconde una filiera di sfruttamento globale.

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