Sette numeri per sette note

Solo la matematica ha potuto creare un linguaggio per scrivere sequenze di suoni, per scrivere la musica, attribuendo un nome e una definizione convenzionalmente riconosciuta a ogni singolo suono.

Per cercare di costruire un linguaggio comune e di orientarsi nel
paesaggio sonoro, le varie civiltà musicali hanno scelto di
privilegiare alcuni suoni posti a intervalli definiti da rapporti
di frequenze esprimibili in termini aritmetici semplici. Le note,
così come le conosciamo noi, sono state definite nell’ambito
di unità di suono che rispettano un rapporto matematico ben
preciso, ripetendosi ciclicamente ogni volta su una frequenza
doppia rispetto alla precedente, con un rapporto esatto di 1:2.

Queste grandi unità di suono, a loro volta, sono
scomponibili in più piccole unità. Nasce così
il concetto di ottava, l’unità di suono di base che include
le note – cinque, sei o sette – suoni scelti non arbitrariamente,
ma perché ognuno di questi ha la caratteristica di formare
degli intervalli ben precisi con la nota di partenza, intervalli
conosciuti come di seconda, terza, quarta, quinta, sesta e settima.
Così come è stato naturale dividere lo spettro di
luce in sette frequenze, quelle che all’occhio si manifestano come
i sette colori dell’iride, o dell’arcobaleno, scopriamo che anche
nella musica il numero sette si impone spesso come
significativo.

Il sette ha sempre avuto un significato particolare nell’ambito
della cultura umana, espressione di un rapporto simbolico profondo
tra il numero due e il tre, e quindi il tre e il quattro (due
più due), considerati rispettivamente due numeri completi,
ognuno con la sua qualità, dalla cui unione soltanto
può nascere qualche cosa di nuovo.

E’ sempre esistito, tradizionalmente, uno stretto legame tra il
mondo della musica e quello dei numeri. La musica era parte del
trivium e quadrivium medioevale, le tre o quattro
materie di base di studio dell’epoca: musica, matematica, geometria
e astronomia. L’aspetto numerico concettuale della matematica,
l’aspetto formale della geometria e gli aspetti fisici
dell’astronomia si collegavano strettamente alla musica in quanto
mediatrice, come una sorta di filo conduttore dello scibile
umano.

Leibniz, il filosofo, stabilisce un’allettante analogia tra i
numeri e la musica, giungendo ad identificare il piacere che
proviamo nell’ascoltare la musica al piacere di contare. Un contare
inconscio. La musica viene così paragonata ad un’aritmetica
inconscia, una dimensione a cui consapevolmente non attingiamo, ma
con cui ci sintonizziamo quasi a nostra insaputa ogni qualvolta
ascoltiamo musica, quasi fosse espressione di quelle formule
matematiche che sono alla base della costituzione della struttura
della materia.

Rudolf Stainer diceva che “l’uomo può capire la matematica
perché ce l’ha nelle cellule”!

Marcella
Danon

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