Stati Uniti, i cuccioli di falco si lanciano dal nido per sfuggire al caldo

Centinaia di piccoli di falco si sono lanciati da 20 metri d’altezza pur di sfuggire all’ondata di caldo che sta colpendo gli Stati Uniti.

L’ondata di caldo che sta colpendo la costa ovest degli Stati Uniti mette a dura prova anche la fauna locale. Gli animali, disorientati e privi di risorse per gestire le temperature estreme, cercano in ogni modo di sopravvivere in un ambiente ormai non più adatto a loro.

Per questo nelle ultime settimane centinaia di pulli di falco, ancora incapaci di volare, si sono lanciati fuori dai propri nidi, nel disperato tentativo di allontanarsi dal sole e trovare un po’ di sollievo. L’aumento nel numero di rapaci bisognosi di cure ha messo sotto pressione i volontari dei rifugi locali, che hanno dovuto chiedere aiuto ai residenti.

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Un falco a Seattle, nello stato di Washington © Al Messerschmidt/Getty Images

“Hawkpocalypse”

L’estate 2021 sta portando temperature da record su tutta la costa ovest degli Stati Uniti: dai 54,4 gradi centigradi nella Death Valley californiana ai quasi 47 gradi di Portland (Oregon) e i 42 di Seattle, nello stato di Washington.

Tra giugno e luglio i volontari dello Shasta wildlife rescue & rehabilitation, un rifugio per animali che opera nel nord della California, hanno accolto 60 cuccioli di falco caduti dal nido. “Sono ancora molto piccoli, non erano pronti ad andarsene”, ha affermato a LifeGate Jeane Capozzo, coordinatrice del centro che si fa chiamare Raven, corvo.

L’aumento delle temperature, unito alla mancanza di cibo e alla disidratazione, li ha costretti a saltare da circa 20 metri d’altezza. Capozzo ha spiegato che il fenomeno non è nuovo: “Nel 2016 abbiamo accolto circa 25 falchi in difficoltà a causa del caldo, ma quest’anno abbiamo superato il record in una sola settimana”. Per questo, nonostante il picco delle temperature debba ancora arrivare, Capozzo definisce già ora la situazione come hawkpocalypse, dall’unione delle parole inglesihawk, falco, e apocalypse, apocalisse.

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Una poiana spallerosse in volo al Green Cay Nature Center and Wetlands, in Florida © Bruce Bennett/Getty Images

La presenza di un numero inedito di animali in difficoltà ha messo sotto pressione i responsabili e i volontari dello Shasta wildlife rescue, che in diverse occasioni sono stati costretti a chiedere alle comunità locali di mettere a disposizione risorse d’acqua fresca per offrire un po’ di sollievo ai piccoli appena ritrovati. In questo modo molti esemplari, soprattutto tra quelli più cresciuti, sono stati capaci di riprendersi da soli. Gli altri, i più deboli, sono stati invece portati al centro per ricevere cure specifiche. Capozzo ha raccontato che al 25 luglio circa metà dei 60 esemplari ritrovati erano stati rimessi in libertà, mentre cinque cuccioli non sono sopravvissuti.

Un problema per tutta la costa pacifica

La California non è l’unico stato a fare i conti con questo problema delicato. Nel corso delle ultime settimane l’associazione di soccorso per animali Blue mountain wildlife, che opera sulla costa pacifica tra l’Oregon e lo stato di Washington, ha accolto 188 esemplari di cuccioli di falco che per allontanarsi dal caldo insopportabile hanno abbandonato i loro nidi senza saper volare. “Sono saltati, è tutto ciò che potevano fare”, ha spiegato LifeGate Lynn Tompkins, storica direttrice di Blue mountain wildlife. Tompkins ha aggiunto che, fortunatamente, la maggior parte degli esemplari ritrovati era in condizioni non troppo preoccupanti.

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Un cucciolo di falco © Zoran Borojevic/Unsplash

Da un punto di vista pratico l’incremento nel numero di cuccioli di cui prendersi cura ha fatto lievitare i bilanci del rifugio, causando pesanti contraccolpi economici: “Lo scorso anno abbiamo speso 62mila dollari per dare da mangiare agli animali, quest’anno probabilmente la cifra si aggirerà sui 100mila dollari”, ha precisato Tompkins.

Secondo Capozzo, al momento la situazione non offre prospettive di miglioramento: “Con l’intensificarsi dei periodi di siccità, l’aumento delle temperature e l’antropizzazione del paesaggio – ha concluso – temiamo di dover fare i conti con problemi di questo tipo sempre più di frequente”. Il rischio è dunque quello di un’ulteriore aggravarsi del problema nel medio e lungo periodo.

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