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Il 15 marzo in piazza assieme agli studenti sfileranno anche professori e scienziati di tutto il mondo: “È un dovere politico e morale”.
“Siamo scienziati e docenti universitari di diverse discipline. Da anni i nostri lavori parlano di verità difficili da ascoltare sullo stato del pianeta Terra. In particolare per quanto riguarda la minaccia che incombe sul genere umano a causa degli stravolgimenti climatici e della distruzione della biodiversità”. Comincia con queste parole una lettera pubblicata sul quotidiano Le Monde da numerosi climatologi, geologi, sociologi, fisici e professori provenienti dal mondo intero. Che hanno deciso di unirsi, il 15 marzo prossimo, allo sciopero degli studenti che da settimane attraversa l’intera Europa e non solo.
Le Monde – « Nous, scientifiques, ferons aussi la grève scolaire du 15 mars » https://t.co/komXEcjIxw
— Ideopinions (@ideopinions) 20 febbraio 2019
“Abbiamo investigato e documentato. Testato differenti ipotesi. Costruito modelli. Nutrito con evidenze scientifiche le nostre riflessioni sociologiche, economiche, giuridiche, storiche e filosofiche. Con l’intento di difendere i processi democratici”, spiegano docenti e scienziati.
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I cui toni sono accorati: “Abbiamo avvertito l’angoscia di ricercatori che si trovano di fronte a pericoli inediti: quelli legati al crollo probabile della civilizzazione termo-industriale e all’esaurimento delle risorse naturali. Per questo abbiamo cercato di sensibilizzare i decisori politici. Abbiamo costruito ponti con le organizzazioni della società civile. Abbiamo lanciato mille volte allarmi all’opinione pubblica, ai cittadini. Alimentato il dibattito, aperto la scienza alla popolazione. Abbiamo tentato di tutto. Eppure…”.
Eppure il mondo sembra ancora lontano dall’aver compreso appieno l’emergenza. Il pianeta è ancora colmo di dirigenti che – in modo più o meno velato – attaccano chi osa parlare di cambiamenti climatici: dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump ai suoi omologhi di Russia e Brasile, Vladimir Putin e Jair Bolsonaro.
Ma gli scienziati puntano anche il dito verso il sistema economico, per il quale ancora oggi “conta solo vendere di più. A prescindere da cosa si vende e dalle conseguenze che tali prodotti hanno”. Come nel caso di chi si ostina a propinare “pesticidi e altre sostanze pericolose”. O quelli che imperterriti “propongono investimenti redditizi sui combustibili fossili”.
Dall’altra parte, “ci sono coloro che patiranno per primi l’ostinazione dei decisori attuali. Prima di tutti gli studenti che oggi seguono gli appelli agli scioperi lanciati da Greta Thunberg. La gioventù del Pianeta intero. Tutta questa fetta di popolazione vede il mondo trascinato dal sistema neo-liberale verso un incubo climatico”. La studentessa svedese ha partecipato giovedì 21 febbraio a Bruxelles ad una nuova manifestazione assieme a migliaia di ragazze e ragazzi. E oggi, venerdì 22 febbraio, sfilerà nelle strade di Parigi.
È per questo che, “per chiunque oggi abbia un minimo di cognizione di ciò che sta accadendo, accompagnare e sostenere questa mobilitazione giovanile è un dovere politico e morale. Cercare assieme a loro soluzioni progressive ed efficaci è imperativo”.
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“Sappiamo – proseguono gli scienziati – che qualcuno ora griderà allo scandalo della politicizzazione del sapere. Ma è cinismo e ipocrisia: da decenni la produzione del sapere è troppo spesso finanziata da interessi privati puramente mercantili. E, quando non è così, le ricerche spesso sono votate unicamente ad alimentare i mercati, ad avvelenare gli ecosistemi”.
Di qui la conclusione alla quale sono giunti i docenti e i ricercatori che sciopereranno il 15 marzo assieme agli studenti: “Denunciare e rifiutare una civilizzazione mortifera significa semplicemente agire da buoni cittadini”.
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