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Le grandi aziende della tecnologia devono fare di più contro il lavoro forzato

21 milioni di persone, all’incirca come la popolazione di Lombardia, Lazio e Campania messe insieme, sono vittime del lavoro forzato nel mondo, secondo l’Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro). Una vergogna che nel settore privato genera ogni anno profitti illegali pari a circa 135 miliardi di euro. L’Ict (Tecnologie per l’informazione e la comunicazione) è uno dei

21 milioni di persone, all’incirca come la popolazione di Lombardia, Lazio e Campania messe insieme, sono vittime del lavoro forzato nel mondo, secondo l’Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro). Una vergogna che nel settore privato genera ogni anno profitti illegali pari a circa 135 miliardi di euro. L’Ict (Tecnologie per l’informazione e la comunicazione) è uno dei settori più a rischio e dovrebbe fare di più per cambiare rotta. Lo dimostra un report di Know the chain che mette a nudo le 20 aziende del settore più importanti al mondo. I risultati si possono consultare anche in un’infografica.

Il settore Ict (Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione) è molto esposto al rischio di lavoro forzato.
Il settore Ict (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione) è molto esposto al rischio di lavoro forzato. Foto © Ingimage

I giganti della tecnologia sotto esame

Il report dà a ogni azienda un voto da 1 a 100 sulla base di una serie di indicatori. Le più responsabili sono HP con un punteggio di 72, Apple a quota 62, Intel, Cisco Systems, Microsoft ed Ericsson (rispettivamente a 59, 58, 57 e 55). Fanalini di coda, Canon (12), Boe Technology Group (4) e la giapponese Keyence, che chiude la classifica con un desolante 0 (zero).

Nel complesso il settore, si legge nel rapporto, “dimostra un alto livello di consapevolezza del rischio di lavoro forzato ma deve fare molto di più per affrontare il problema lungo la filiera”. Non a caso, 18 società su 20 hanno rilasciato dichiarazioni pubbliche sulla lotta al lavoro forzato, ma sono molti meno i casi in cui alle parole sono seguiti i fatti.

Tra i casi positivi citati dal report ci sono Microsoft, Intel, Apple e Cisco.
Tra i casi positivi citati dal report ci sono Microsoft, Intel, Apple e Cisco. Foto © Ingimage.

Le tante dimensioni del lavoro forzato

Il primo passo per combattere il lavoro forzato è quello di ascoltare i lavoratori e garantire a tutti il diritto di associarsi ed essere rappresentati. Ma è proprio questo il principale punto debole: il voto medio si ferma a 16 su 100 e anche le aziende più virtuose si collocano ben sotto la sufficienza, arrivando al massimo a 38. L’unico esempio positivo citato è quello di Microsoft, che nel 2014 ha lanciato un progetto pilota per raccogliere in forma anonima le rimostranze dei lavoratori.

Anche la fase della ricerca di lavoro è molto a rischio, perché ci sono intermediari che giocano sulla disperazione per pretendere commissioni altissime da chi cerca un’occupazione. A dare il buon esempio sono HP, che esige di assumere in prima persona i lavoratori migranti, e Apple e Cisco, che rimborsano i lavoratori che hanno dovuto pagare un soggetto esterno.

Sulla tracciabilità della filiera invece si stanno facendo grandi passi avanti, complice l’attenzione internazionale e le regolamentazioni sempre più severe. Un ottimo esempio è quello di Intel, che ha messo sotto osservazione tutta la filiera per certificare che le materie prime non comprendano minerali di guerra.

 

Foto © STR/AFP/GettyImages

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