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La pizza, patrimonio Unesco dell’umanità, vale oltre 60 miliardi di euro nel mondo

Evitiamo l’effetto Meucci, quello per cui inventiamo qualcosa poi ce lo scippa chi la commercializza (come accadde col telefono e Bell). E tuteliamo un settore da 150mila addetti in Italia, un giro d’affari di 12 miliardi di euro qui e di almeno oltre 60 nel mondo. Anche per questo quella della pizza – precisamente, l’”arte dei

Evitiamo l’effetto Meucci, quello per cui inventiamo qualcosa poi ce lo scippa chi la commercializza (come accadde col telefono e Bell). E tuteliamo un settore da 150mila addetti in Italia, un giro d’affari di 12 miliardi di euro qui e di almeno oltre 60 nel mondo. Anche per questo quella della pizza – precisamente, l'”arte dei pizzaiuoli napoletani” – è stata la candidatura più supportata a livello popolare nella storia dell’Unesco. L’ok alla pizza patrimonio Unesco è arrivato al Comitato riunito a Jeju in Corea del Sud dal 4 all’8 dicembre dopo una lunga istruttoria per l’iscrizione nel patrimonio dei beni immateriali, che l’ha proclamata all’unanimità.

Il percorso della pizza, patrimonio Unesco dell’umanità

La prima vittoria della petizione #pizzaUnesco, ideata dall’ex ministro dell’Agricoltura Alfonso Pecoraro Scanio, era già arrivata il 26 marzo 2015. Primo risultato che profumava di storia: l’arte dei pizzaiuoli napoletani otteneva la candidatura italiana ad entrare nel Patrimonio immateriale dell’Umanità. Il fiore all’occhiello della tradizione campana scelto dalla Commissione italiana per l’Unesco poteva intraprendere così l’iter ufficiale verso il prestigioso riconoscimento internazionale. La notizia fece il giro del mondo, finì in tutti i telegiornali italiani, sui siti e sui giornali internazionali. La decisione, però, si arenò e l’esame della candidatura si fermò. La mobilitazione, invece, continuò.

Il 4 marzo 2016 il governo italiano ci riprova e decide che “L’arte dei pizzaiuoli napoletani” sarebbe stata l’unica candidatura italiana nella lista del Patrimonio Mondiale dell’umanità Unesco. Lo decide all’unanimità la Commissione nazionale italiana per l’Unesco su proposta del ministero dell’Agricoltura e con il sostegno del ministero degli Esteri, dell’Università, dell’Ambiente, dell’Economia. Scelta perché “rappresenta l’Italia in tutto il mondo”.

Il dossier è stato trasmesso all’Unesco e ha così iniziato un lungo e complesso negoziato che ha coinvolto oltre 200 Paesi, “specialmente perché fino ad ora mai l’Unesco ha iscritto una tradizione connessa ad una produzione alimentare” come osservava l’estensore del dossier Pierluigi Petrillo, docente universitario alla Luiss e all’Unitelma Sapienza, già autore di diversi dossier Unesco di successo.

La candidatura dell'”arte dei pizzaiuoli napoletani” valutata dall’Unesco

Secondo la Commissione designatrice “l’arte dei pizzaiuoli ha svolto una funzione di riscatto sociale, elemento identitario di un popolo, non solo quello napoletano, ma quello dell’Italia. È un marchio di italianità nel mondo”. E questa candidatura ha peraltro evitato il rischio “scippo” da parte degli americani che avevano annunciato la volontà di candidare la “pizza” american-style.

2 milioni di firme affinché la pizza diventi Patrimonio Unesco

Probabilmente è la candidatura più supportata a livello popolare nella storia dell’Unesco.

La petizione promossa da Alfonso Pecoraro Scanio ha superato i 2 milioni di firme, tra adesioni web e firme cartacee raccolte in manifestazioni, in eventi e addirittura proprio in molte pizzerie italiane. Hanno aderito Coldiretti, Cna, associazioni di pizzaioli, catene di pizzerie – Rossopomodoro – e produttori di farine – Caputo – tra molti altri enti e soggetti economici e sociali. Il testo della petizione riassume i tratti salienti della proposta.

Quest’arte, che nasce e si tramanda a Napoli da secoli, di generazione in generazione, consiste nel manipolare due sostanze basilari come l’acqua e la farina in modo tale da creare dei dischi di pasta, secondo una tecnica e delle regole ben precise e un linguaggio tutto napoletano (“alluccare”, “schiaffo”, ecc.). Manipolazione della pasta, arti performative come il lancio in aria del disco di pasta (non certo per folklore ma per consentire alla pasta di prendere ossigeno e la forma necessaria per il successivo passaggio), cottura in forni speciali e con legni particolari: sono solo alcuni degli elementi che caratterizzano quest’arte che da generazione fa sognare bambini e adulti.

Tale arte ha svolto negli anni e svolge tuttora alcune importanti funzioni culturali e sociali, tra cui la principale è il forte senso di identità dei cittadini napoletani in tale pratica in cui riconoscono i valori della convivialità e della prossimità tra i componenti della comunità partenopea. Il mestiere del pizzaiuolo ha dato un’importante possibilità di riscatto sociale e di successo a tanti giovani che, provenienti da contesti difficili, si sono garantiti così un futuro lavorativo anche di ampio rispetto nella società.

È stato creato un sito con tutte le testimonianze e i progressi della campagna: www.pizzanelmondo.org.

“È stato raggiunto l’obiettivo di 2 milioni di firme a sostegno della candidatura dell’arte dei pizzaioli napoletani a patrimonio immateriale dell’Unesco, grazie alla mobilitazione straordinaria al Villaggio contadino della Coldiretti sul lungomare Caracciolo, Rotonda Diaz a Napoli – rimarcava di recente Roberto Moncalvo, a capo della grande organizzazione agricola Coldiretti – e si conclude un percorso iniziato quasi sette anni fa con l’appuntamento finale per il voto, dal 4 all’8 dicembre a Seul in Corea del Sud, del Comitato Intergovernativo per la salvaguardia del patrimonio immateriale dell’Unesco”.

La candidatura è stata spinta, oltre che da Univerde di Alfonso Pecoraro Scanio, proprio da Coldiretti, dall’Associazione Pizzaiuoli Napoletani e da decine di enti e organizzazioni.

La pizza napoletana dal 4 febbraio 2010 è già stata riconosciuta come Specialità tradizionale garantita dall’Ue, ma ora l’obiettivo, conclude Coldiretti, “è quello di arrivare a un riconoscimento internazionale di fronte al moltiplicarsi di atti di pirateria alimentare e di appropriazione indebita dell’identità”.

Il valore economico della pizza

L’inclusione nel patrimonio Unesco andrà a tutelare un settore con almeno 100mila lavoratori fissi nel settore della pizza in Italia, cui se ne aggiungono circa 50mila nel fine settimana.

Nella sola Italia è un mercato il cui valore sfiora i 12 miliardi di euro, secondo quanto riferisce la Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media impresa (Cna) nella sua ultima rilevazione, condotta proprio a proposito del supporto alla candidatura della pizza come patrimonio Unesco. Ogni giorno solo in Italia si sfornano circa 5 milioni di pizze nelle 63mila pizzerie e locali per l’asporto, taglio e trasporto a domicilio.

Una popolarità che si traduce in un dato: oltre a essere la parola italiana più conosciuta al mondo, secondo un sondaggio di Coldiretti il 39% degli italiani ritiene che la pizza sia il simbolo culinario del Paese.

Oggi sono gli americani i maggiori consumatori di pizza, con 13 chili a testa l’anno. Gli italiani guidano la classifica in Europa con 7,6 chili, staccando spagnoli (4,3), francesi e tedeschi (4,2), britannici (4), belgi (3,8), portoghesi (3,6) e austriaci (con 3,3).

La pizza è certamente un fenomeno economico senza paragoni che, dalla sua invenzione all’ombra del Vesuvio, ha conquistato le tavole e i mercati di tutto il mondo.

Ogni anno vengono vendute circa 5 miliardi di pizze in tutto il mondo, con una media di 46 fette di pizza mangiate per persona, ogni anno. Praticamente vengono addentate in tutto il mondo 350 fette di pizza al secondo.

I ristoranti e le pizzerie gestite da italiani all’estero sono 72mila, e incassano oltre 27 miliardi di euro l’anno. Tutto il business pizza nel mondo vale oltre 62 miliardi di euro.
I ristoranti e le pizzerie gestite da italiani all’estero sono 72mila, e incassano oltre 27 miliardi di euro l’anno. Tutto il business pizza nel mondo vale oltre 62 miliardi di euro.

“Occorre superare la cosiddetta sindrome di Meucci – ha dichiarato a settembre l’assessore alle Attività produttive della Regione Campania, Amedeo Lepore – evitare, cioè, che come accaduto all’inventore del telefono, rimasto un po’ in ombra rispetto a Bell che commercializzò l’invenzione, siano altri a commercializzare un’eccellenza napoletana”.

I sei tesori italiani dell’Unesco

Nel patrimonio immateriale Unesco l’Italia è già rappresentata, per quanto riguarda i beni connessi all’alimentazione e all’enogastronomia, con la dieta mediterranea e con la vite ad alberello, peculiare di Pantelleria.

Leggi anche: la pizza (italiana) non è junk food

L’arte dei pizzaioli napoletani sarebbe complessivamente il settimo tesoro italiano ad essere iscritto nel patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. Fino a ora, infatti, nella lista ci sono:

  • l’opera dei pupi (iscritta nel 2008)
  • il canto a tenore (2008)
  • la dieta mediterranea (2010)
  • l’arte del violino a Cremona (2012)
  • le macchine a spalla per la processione (2013)
  • la vite ad alberello di Pantelleria (2014).

“Il riconoscimento dell’Unesco – come ha spiegato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo – ha un valore straordinario per l’Italia che è il Paese dove più radicata è la cultura alimentare e dove la pizza rappresenta un simbolo dell’identità nazionale. Garantire l’origine nazionale degli ingredienti e le modalità di lavorazione significa difendere un pezzo della nostra storia, ma anche la sua distintività nei confronti della concorrenza sleale”.

Eleggere l’arte della pizza come patrimonio dell’umanità significa riconoscere il valore di una tradizione sostenibile, attenta alla naturalità, che parla di materie prime legate ad un vero amore e rispetto per la terra, di ingegnosità di uomini e donne che volevano trovare modi gustosi per nutrire le proprie famiglie e la propria comunità, di arti performative, di dignità sociale, di sintesi magnifica della storia, della dieta mediterranea e dell’italianità.

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