Un clima da rivoluzione con Vivienne Westwood

Sono tanti e sempre di più i personaggi del mondo dello spettacolo e della musica a convincersi che sia importante e doveroso dedicarsi alla salvaguardia dell’ambiente. Da Sting a Brian May fino a Leonardo Di Caprio – in questi giorni nelle sale con l’ultimo capolavoro di Tarantino Django Unchained – che ha svelato di voler

Sono tanti e sempre di più i personaggi del mondo dello
spettacolo e della musica a convincersi che sia importante e
doveroso dedicarsi alla salvaguardia dell’ambiente. Da
Sting a
Brian May fino a Leonardo Di
Caprio
– in questi giorni nelle sale con l’ultimo
capolavoro di Tarantino Django Unchained – che ha svelato di voler
prendersi una lunga pausa dai set per dedicarsi completamente alla
causa ambientalista.

Ma anche nel mondo della moda sta aumentando la sensibilità
nei confronti di una tematica che la riguarda sempre più da
vicino, tanto più dal momento che alcuni colossi della moda
italiana e internazionale si sono imposti fra le aziende più
produttive del 2012 (i dati di vendita del gigante
dell’abbigliamento a basso costo Inditex che, fra gli altri,
possiede il marchio Zara, hanno avuto un incremento considerevole
nell’ultimo periodo e nel Billionaires Index di Bloomberg, Domenico
Dolce e Stefano Gabbana sono i due nomi italiani a rientrare nella
lista dei miliardari, insieme al presidente di Calzedonia).

A spronare l’industria della moda verso una maggiore attenzione al
clima e all’ambiente, nonché a una maggiore consapevolezza
nei confronti della qualità del prodotto finale, ci ha
pensato già
Greenpeace
con la campagna
Toxic Threads – The Fashion Big Stitch-Up
, che
sta già raccogliendo i suoi frutti. Sulla scia del successo
della
campagna Detox
del 2011, che aveva svelato i
legami tra gli impianti di produzione tessile di marchi sportivi e
l’inquinamento delle acque, lo scorso novembre Greenpeace ha
presentato i risultati della nuova indagine sulle sostanze chimiche
pericolose utilizzate nella produzione dalle grandi catene della
moda, ampliata questa volta a 20 marchi globali tra cui Armani,
Levi’s e Zara. I dati sono stati piuttosto sconcertanti: due terzi
dei marchi presi in esame contengono sostanze tossiche e nocive,
che provocano gravi danni non soltanto all’ambiente ma anche alla
salute. E, fortunatamente, sono già molti i marchi (Levi’s,
Benetton e la stessa Zara) ad aver accolto la richiesta, avanzata
da Greenpeace, di eliminare entro il 2020 le sostanze pericolose
dalla propria filiera di produzione e dai propri prodotti.

Ma ora l’impegno ambientalista sbarca anche sulle passerelle della
grande moda. Portavoce assoluta la (da sempre) rivoluzionaria
Vivienne
Westwood
. Lei, più di chiunque altro, ha
avvicinato la musica e la moda in un legame imprescindibile e,
negli anni ’70, fece della boutique Let it rock al
430 di King’s Road (aperta insieme all’allora
compagno, un certo Malcolm
McLaren
) il centro nevralgico della nuova e prepotente
subcultura punk. Negli anni, si è poi imposta come una delle
maggiori creatrici di moda in ambito internazionale, grazie alla
sua sapiente capacità di mescolare frammenti della moda
classica inglese alle sue più eccentriche intuizioni.

Vivienne è solita promuovere campagne sociali di forte
impatto (già da anni ha messo al bando le pellicce dalle sue
collezioni, prendendo parte attiva nell’associazione animalista

PETA
, è da sempre in prima linea contro
la violenza sulle donne e, in omaggio al suo amore per la natura,
le hanno addirittura dedicato una rosa) e, già più
volte, ha espresso la ferma condanna nei confronti della
“propaganda consumistica” della nostra società. L’anno
scorso, poi, in occasione della sfilata per la collezione donna
primavera/estate 2012, aveva rilanciato la
Rainforest charity, una campagna per la difesa
delle foreste pluviali, lanciata nel 2007 da Cool Earth,
che sta
tutt’ora orgogliosamente portando avanti.

Così, durante ll’ultima settimana della moda maschile di
Milano, accanto alle migliori collezioni di moda Uomo degli
stilisti internazionali, spicca proprio la sua. Più di una
sfilata, un atto di accusa nei confronti di un sistema economico e
politico di quei Paesi (detti più progrediti) che stanno
ancora sfruttando le risorse del Pianeta, invece di preservarle per
un futuro, neppure troppo lontano. Questa volta però,
l’attacco di Vivienne è molto più netto: in
passerella non sfilano più donne eteree cinte da tessuti
naturali leggeri e morbidi, ma veri e propri uomini-guerrieri che
portano sul loro corpo le cicatrici di una lotta giornaliera e
silente, ma efficace, per un pianeta migliore.

La Climate
Revolution
della Westwood, però, dura molto
più di una settimana, e tutti possono aderirvi mettendo in
pratica una serie di regole: tra quelle proposte, per esempio,
preferire la qualità alla quantità, evitare l’uso
della plastica, comprare cibi a km 0, abbassare il termostato del
riscaldamento di casa, effettuare turismo consapevole, spendere in
modo etico… Ma quella che ci piace di più è
senz’altro “shop less kiss more”: compra di meno, bacia di
più!

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