
L’adattamento alla crisi climatica è un processo lungo e necessario. E a Rimini abbiamo visto che funziona, e come.
I cambiamenti climatici sono una minaccia per l’intera popolazione mondiale. Esistono però dei paesi che sono più vulnerabili e altri che sono pronti ad affrontare le prossime sfide poste dagli eventi climatici estremi e dal riscaldamento globale. L’indice ND-Gain, nato nel 1995 da un progetto dell’università di Notre Dame, in Indiana, Stati Uniti, li mette
I cambiamenti climatici sono una minaccia per l’intera popolazione mondiale. Esistono però dei paesi che sono più vulnerabili e altri che sono pronti ad affrontare le prossime sfide poste dagli eventi climatici estremi e dal riscaldamento globale. L’indice ND-Gain, nato nel 1995 da un progetto dell’università di Notre Dame, in Indiana, Stati Uniti, li mette in ordine, dal paese più preparato (100) a quello più esposto (0).
L’indice si basa su sei fattori di rischio: cibo, acqua, salute, servizi offerti dall’ecosistema, habitat umano e infrastrutture. Nelle prime tre posizioni ci sono Norvegia, Nuova Zelanda e Svezia. Poi Finlandia e Danimarca.
L’Italia si trova al 30esimo posto, prima della Lituania e dopo il Portogallo. Una posizione buona perché si trova insieme al gruppo di paesi con un basso livello di vulnerabilità e un buon grado di preparazione. Nonostante questo è un paese che dovrà affrontare numerose sfide per adattarsi ai cambiamenti climatici. Primo fra tutti l’innalzamento del livello dei mari.
In fondo alla classifica ci sono solo paesi africani: Repubblica Democratica del Congo, Burundi, Eritrea. Chiude la classifica il Ciad. I paesi più a rischio, infatti, sono quelli in via di sviluppo nonostante siano i meno responsabili delle emissioni di CO2 in atmosfera. Oltre ai paesi dell’Africa subsahariana, le regioni più vulnerabili sono il Sudest asiatico e l’America centrale.
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