La sharing economy piace agli italiani. Ecco perché

L’economia collaborativa in risposta alla crisi. Il concetto di condivisione contro il concetto di possesso. Ecco come, anche in Italia, prende piede la sharing economy.

C’è chi lo considera un cambio epocale, un cambio di paradigma: dal possesso dell’oggetto si passa all’utilizzo condiviso. Complice la crisi economica, la scarsità di risorse disponibili, ma complice anche quello che può essere considerato un cambio culturale, quasi generazionale: valori quali sostenibilità ambientale ed economica, risparmio e nuove tecnologie hanno dato vita ad un nuovo tipo di economia, che nel solo triennio 2010-2013 conosce crescite a tre cifre (fonte Sharitaly).

 

L’idea di condivisione oggi può essere estesa a beni e servizi sempre più numerosi. Si va dall’auto alla bicicletta. Dal terreno ad una professionalità. Dall’ufficio all’appartamento in una grande città. Secondo quanto si è appreso durante il primo incontro dedicato al fenomeno dell’economia collaborativa, sono circa 160 le piattaforme di scambio e condivisione, circa 40 esperienze di autoproduzione, circa 60 di crowding. C’è la condivisione di beni, servizi, informazioni, ma anche il baratto tra privati, o la sempre crescente pratica come il crowdsourcing e crowdfunding.

 

L’identikit degli utenti. Chi sono i fruitori? O meglio gli utenti di queste piattaforme, spesso digitali? Secondo una recente ricerca comissionata da BlaBlaCar e Airbnb – due delle realtà che bene descrivono il fenomeno – ad Ipsos, emerge che il 75% degli intervistati ha sentito parlare di sharing economy mentre uno su tre è interessato a utilizzarla. L’utente medio è tra i 18 e i 34 anni, laureato, proveniente da tutta Italia e di classe media o alta. Di questi, ben l’86% ha modificato le proprie abitudini di consumo negli ultimi tempi. E di conseguenza si sono affermate modalità di consumo come il ride sharing, la condivisione della casa, il bike sharing il co-working.

 

“Se da un lato la crisi e la necessità di far quadrare il bilancio familiare hanno certamente agevolato le pratiche di sharing, dall’altro la leva economica, pur preminente, non è la sola alla base della diffusione del fenomeno”, spiega  Fabio Era, Senior Researcher, Ipsos Public Affairs. “La novità e l’innovazione, la socialità ma anche la sostenibilità ambientale e l’etica implicite nella condivisione di beni e servizi, sono le determinanti emergenti, che possono sostenere la sharing economy una volta superata la crisi”.

 

Gli esempi che funzionano. Non si tratta quindi di una semplice questione economica. Ecco allora i casi di BlaBlaCar, piattaforma che fornisce la possibilità di condivedere l’auto soprattutto nei lunghi tragitti. Come suggerito dal nome stesso del servizio il valore aggiunto sta nella possibilità di socializzare durante il viaggio e di stringere, unito sicuramente alla flessibilità degli orari e, soprattutto, al risparmio economico. “Viaggiare insieme è una soluzione semplice ed efficace per ridurre drasticamente le spese di viaggio in un’ottica di sostenibilità ambientale”, commenta Olivier Bremer, country manager di BlaBlaCar per l’Italia.

 

Anche i numeri di Aribnb sono in aumento. La piattaforma nata negli Usa, oggi è un punto di riferimento in Italia per chi vuole affittare case e appartamenti in tutta tranquillità, sia nella qualità che nella serietà del servizio. “Sin dalla sua nascita Airbnb ha puntato molto sull’unicità delle esperienze e degli alloggi disponibili. La sicurezza per noi è uno degli aspetti chiave”, dichiara Matteo Stifanelli, Country Manager Airbnb Italia. “Airbnb offre infatti una garanzia a chi mette a disposizione la propria casa, un servizio di assistenza clienti attivo 24 ore su 24, in 16 lingue per rendere la community il più sicura e affidabile possibile. Pagando attraverso la piattaforma inoltre, c’è la certezza di non andare incontro a brutte sorprese”.

 

 

Più cauto Mario A. Maggioni, professore Ordinario di Politica Economica all’Università Cattolica di Milano: “L’economia collaborativa è un fenomeno interessante per l’economista, perché riassume molte caratteristiche delle grandi innovazioni: quello tecnologico (in questo caso un utilizzo intensivo del mobile), uno sociale (il dilagare dei social media) ed uno mediatico che – come spesso succede – tende a esagerarne il carattere rivoluzionario. Come tutte le innovazioni anche la sharing economy registra tassi di crescita molto elevati nella fase iniziale che poi, necessariamente, vanno diminuendo; vede la partecipazione di una serie di piccoli soggetti indipendenti, che poi vengono soppiantati da pochi grandi soggetti oligopolistici; da ultimo non comporta una rivoluzione antropologica per cui ci si possa “fidare degli sconosciuti”. Perfino Airbnb basa il successo del suo modello di business su un assicurazione (stipulata con Lloyds) che copre fino a 700.000 euro gli eventuali danni provocata dagli ospiti”.

 

Per ora, sono molte le esperienze collaborative che funzionano nel nostro Paese. Oltre a quelli citati servizi come Gnammo, Flubes o Vicinidicasa, raccolti a loro volta tutti nella piattaforma Collaboriamo.org, registrano trend positivi. “Il consumo collaborativo e l’economia collaborativa stanno cambiando il modo in cui viviamo, lavoriamo e consumiamo, per creare un futuro più sostenibile”, spiega April Rinne uno dei massimi esperti internazionali di economia collaborativa. “Questi nuovi modelli stanno trasformando interi settori – come i trasporti, il turismo e l’educazione – e sono promettenti per imprese innovative, imprenditori e amministrazioni pubbliche”.

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