Rossella Nigro, avvocato di parte civile. La sentenza per Angelo è esemplare, ecco perché

16 mesi di reclusione ciascuno a Giuseppe Liparoto, Nicholas Fusaro, Francesco e Luca Bonanata. È l’esito del processo che li ha visti imputati per aver appeso a un albero il cane Angelo per poi finirlo a colpi di pala, filmando il tutto e postando il video su Facebook. I quattro giovani di Sangineto (Cosenza) sono stati

16 mesi di reclusione ciascuno a Giuseppe Liparoto, Nicholas Fusaro, Francesco e Luca Bonanata. È l’esito del processo che li ha visti imputati per aver appeso a un albero il cane Angelo per poi finirlo a colpi di pala, filmando il tutto e postando il video su Facebook.

I quattro giovani di Sangineto (Cosenza) sono stati condannati al massimo della pena ottenibile con le attuali leggi

Con il rito abbreviato il processo è durato poche settimane. I quattro ragazzi condannati, comunque, non sconteranno, per ora, la detenzione. Sono colpevoli ma la loro pena è stata sospesa perché incensurati. A patto che vadano a fare volontariato in canile.

Difatti per loro, assenti nel momento della sentenza, la sospensione è subordinata all’esecuzione di sei mesi di lavori di pubblica utilità presso associazioni a tutela degli animali. Con l’aggiunta di un risarcimento di duemila euro a ciascuna delle venti associazioni animaliste costituitesi parte civile nel processo, tra cui Gaia. “Le parti civili sono state fondamentali. Siamo orgogliosi – dichiara Edgar Meyer, presidente di Gaia – di essere stati credo la prima associazione a denunciare i quattro ai Carabinieri e a costituirci parte civile nel processo per poter essere sempre presenti con la nostra avvocatessa Rossella Nigro. I diritti animali si difendono con la sensibilizzazione e la crescita culturale, con le azioni sul territorio ma anche con avvocati preparati e agguerriti. Abbiamo creato Gaia Lex, il centro di azione giuridica di Gaia, che raggruppa tanti giovani e preparati avvocati (e avvocatesse: c’è una grande prevalenza di donne motivate e bravissime) in quasi tutte le Regioni d’Italia. Far rispettare le leggi che ci sono e cambiarle in meglio, facendo pressione sulle istituzioni e sul legislatore è uno degli obiettivi prioritari della nostra associazione”.

Il giudice monocratico del Tribunale di Paola, Alfredo Cosenza, ha dunque inflitto il massimo della pena prevista ai quattro ragazzi, accogliendo la richiesta della pubblica accusa. L’orrore s’è svolto il 24 giugno 2016 e il video era stato postato poco dopo.

Il processo era iniziato il 27 aprile, col rito abbreviato chiesto dai difensori degli imputati. Fin da subito è divampata in tutta Italia questa storia di sconvolgente crudeltà, ma anche di omertà dei compaesani di Sangineto e di immobilismo delle istituzioni. Una violenza definita assolutamente “crudele e ingiustificata” dal pm del Tribunale di Paola, dal momento che il cane randagio, ribattezzato Angelo dopo la sua morte, non risultava essere aggressivo o pericoloso. Anzi, si era avvicinato scodinzolante ai suoi aguzzini.

Una sentenza giusta da diversi punti di vista

Oltre al massimo della pena, dunque, c’è da apprezzare la decisione di non aver concesso la messa in prova che avrebbe estinto il reato. La perentorietà della sentenza è stata forse favorita dalla gravità del fatto, accentuata dalla pubblicazione online del video. Ora i quattro ragazzi dovranno pagare oltre 40mila euro di risarcimento alle parti civili, ben venti associazioni animaliste, e le spese legali e processuali.

Rossella Nigro: “Una sentenza esemplare”

Rossella Nigro, avvocato di parte civile per Gaia, ha seguito ogni fase del processo, dalle prime denunce alla chiusura delle indagini, fino alla sentenza di ieri. Quali sono state le tappe essenziali di questa vicenda?
Ho visto, come tutti, il video poco dopo la sua condivisione virale a fine giugno. Ci siamo immediatamente consultati con Edgar Meyer, presidente di Gaia, per la denuncia. Le indagini si sono chiuse a dicembre. Poi vi è stata la prima udienza, la richiesta da parte degli avvocati della difesa del rito abbreviato, e la sentenza. Che definisco esemplare.

Sui social, moltissime persone hanno commentato “ci pare troppo poco”. Sedici mesi di reclusione, pena sospesa perché incensurati, a condizione che svolgano sei mesi di servizi sociali, in canile. Diamo una definizione di “sentenza esemplare”.
Innanzitutto, ci tengo a sottolineare che ho la sensazione che questo sia stato, finora, uno dei processi di cui sono più fiera nella mia giovane carriera di avvocato. E non per la risonanza mediatica che ha avuto, a livello nazionale, ma per l’esito della sentenza.

Come tanti colleghi l’abbiamo definita “esemplare” perché il giudice ha comminato la pena massima secondo l’articolo 544 bis del Codice penale, il reato contestato ai quattro ragazzi. Ha dovuto operare lo sconto di un terzo della pena per la scelta del rito alternativo, il giudizio abbreviato. Ma non ha concesso – e anche di questo sono soddisfatta – le attenuanti generiche. Il perché, lo leggeremo nelle motivazioni, tra due mesi. Credo che sia per l’efferatezza del gesto.

Allora la loro fedina penale è macchiata, giusto?
Giusto, certo. Quando la sentenza viene depositata, viene segnata nel casellario giudiziale. Certo, la sentenza potrebbe essere impugnata, potrebbero fare appello. Oppure, in futuro, il casellario potrebbe tornare pulito nel momento in cui si chiede la riabilitazione. Ma quello che hanno fatto, ora, risulta tutto.

Faranno appello?
Secondo me no. I loro legali, dopo la sentenza, hanno detto “è quello che ci aspettavamo”.

Per chiedere il rito abbreviato, uno dei loro avvocati disse qualche mese fa: “I miei assistiti stanno vivendo con molta sofferenza la vicenda, si sono resi conto del gravissimo fatto avvenuto e la portata del gesto. Scelgono di accedere al rito abbreviato affinché il processo finisca il più veloce possibile e questo non per chiudere la vicenda che nelle loro vite non si chiuderà mai. Siamo consapevoli infatti, che tutto ciò ha segnato per sempre la loro vita. Al termine del processo verrà pareggiato il conto con la giustizia, ma quello con la morale non si chiuderà mai”. Ma di fronte a un gesto così conclamato, sguaiato, crudele, su cosa si è basata la linea dei difensori?
Una delle linee seguite riguarda il fatto che i loro assistiti hanno la quinta elementare e avendo vissuto in un ambiente contadino, dove si macellano maiali e agnelli, per loro uccidere un cane è stato come uccidere un qualunque altro animale.

Comunque, questa condanna, al di là della pena detentiva sospesa, prevede moltissime conseguenze per i quattro: spese legali, processuali, servizi sociali…
E non potranno partecipare a concorsi pubblici.

Ma sono a piede libero. C’è pericolo di reiterazione del reato?
Un giudizio prognostico non lo si può dare. Dipende sempre da loro. Una persona che commette un reato può rifarlo, ma può anche non rifarlo più.

Sei ottimista su questo, o sei preoccupata?
In realtà, sì, sono un po’ preoccupata. Mi viene in mente che magari se lo rifanno… certo, non lo filmeranno più, non lo pubblicheranno sui social. E se lo facessero per ritorsione? Sono giovani, sono soggetti “particolari”… d’altronde, anche i loro concittadini li abbiamo sentiti dire “per un ca… di cane cosa state facendo”. Io rispondo, per voi sarà anche uccidere “solo” un cane, per noi è un essere vivente. Se do un calcio a un cane, sente lo stesso dolore di un bimbo.

Io invece penso che, dopo un anno così, tra manifestazioni nazionali in paese a Sangineto, servizi televisivi, insulti sui social, liti coi genitori, la rovina economica per decine di migliaia di euro, avvocati, Carabinieri, processo, avranno collegato la loro “bravata” al tumulto sociale che hanno causato, o no?
Me lo auguro!

Ma sono pentiti?
Secondo i legali, sì. In realtà a processo due di loro hanno recitato una formuletta come “Chiedo perdono al cane, chiedo perdono per aver ammazzato il cane”, ma dato che entrambi hanno usato le stesse parole testualmente, sorge il sospetto che l’avessero un po’ imparata a memoria.

Ora dovranno fare servizi sociali in canile. Questa parte della sentenza ha suscitato molte domande. Paradossalmente, uno dei commenti più ricorrenti è stato “è come mettere un pedofilo per sei mesi in un orfanotrofio”. Come si risponde?
È una domanda lecita e interessantissima. Chi decide in quale struttura mandarli a svolgere i servizi sociali, sospendendo la pena detentiva? Il giudice, il quale, nel dispositivo, ha imposto che vadano a fare volontariato sei mesi. Da un lato sono giovani, e vuole riabilitarli, non metterli alla gogna. Dall’altro, saranno sorvegliati sia dalle forze di polizia sia dai responsabili della struttura.

Ritengo che il giudice sia una persona meravigliosa. L’idea era condivisa da tutti noi, sia dalle parti civili, sia dagli inquirenti, sia dalle forze di polizia, sia dai volontari, sia dal responsabile della struttura. È una decisione condivisibile, sensata, intelligente, ben formata. Ripeto, oltre alla condanna al massimo possibile, la pena è solo sospesa e la sospensione è totalmente subordinata all’espletamento del volontariato entro un anno dal passaggio in giudicato. Se non lo espletano, se succede qualcosa – non sia mai! – dovranno scontare i 16 mesi di condanna.

Chi decide in quale canile mandarli?
Il giudice, coi loro difensori. Sarà comunque in provincia di Cosenza.

Oltre a tutto ciò, dovranno pagare decine di migliaia di euro, giusto?
Sono stati condannati anche a risarcire ogni associazione costituitasi parte civile, venti associazioni a cui andranno 2.000 euro a ognuna, 800 euro a ogni avvocato delle stesse associazioni e anche le spese processuali, per altre migliaia di euro. Queste ultime vanno allo Stato, non sono soggette a prescrizione quindi si muoveranno gli esattori. Anche se dovesse passare tanto tempo perché al momento son tutti nullatenenti, non potranno mai intestarsi nulla perché qualunque patrimonio sarà aggredito dai creditori. 

Molti hanno chiesto se non era il caso di mandarli da psicologi o psichiatri.
Se fossi stata il loro difensore, forse sì, avrei chiesto una perizia psichiatrica. Il rischio è che se fosse risultato che erano normali e intelligentissimi, o almeno capaci di intendere e di volere mentre prendevano a badilate Angelo appeso a un albero, sarebbe stato come mandarli alla ghigliottina: è un arma a doppio taglio. Comunque, risulta che sono stati tutti seguiti da un supporto psicologico, e lo saranno ancora.

E concludiamo con un commento di un’altra attivista di Gaia: “Sei stata grande e hai fatto tutto da sola, noi ti abbiamo solo sostenuto moralmente. Sei una furia quando ti ci metti e hai assicurato giustizia ad Angelo, che ora starà scodinzolando di felicità, meravigliosa creatura lui”. Come ti senti, sinceramente?
Mi commuove, rileggerlo… Mi sento soddisfatta, dal punto di vista processuale. Mi sento triste perché la condanna c’è ma anche quando io vinco e la controparte perde non esulto, non ho mai esultato per una condanna. E mi sento impotente, perché sarei felice solo se Angelo fosse qui con noi, a scodinzolare.

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