Andrea Pastorelli, direttore generale di Teach for Italy, spiega come giovani talenti possano diventare agenti di cambiamento nelle scuole svantaggiate.
C’è un’accademia di scherma a Milano che crea valore e inclusione
Sulla pedana dell’Accademia scherma Milano duellano ragazzi giovani, persone non vedenti, in carrozzina, e con autismo. È una scuola di inclusione.
Per aprire una palestra di scherma con una pedana per “tirare” di spada servono dieci persone che costituiscano un’associazione: a fine 2018 a compiere questo passo sono stati sei schermitori non vedenti, due in carrozzina e due normodotati che hanno realizzato il sogno di progettare a Milano un’accademia di scherma inclusiva, aperta a tutti: è l’Accademia scherma Milano, nata nel 2019. Un’epoca fa se si pensa a cosa è successo nell’ultimo anno e mezzo, ma anche ai progetti che questa palestra nel frattempo – e nonostante tutto – ha realizzato: “In mezzo ai lockdown e alle zone rosse la scuola in quanto centro sportivo non ha mai smesso di portare avanti il suo obiettivo: includere tutti attraverso lo sport. Grazie alla scherma. I protagonisti dell’accademia sono i suoi atleti, persone non vedenti, in carrozzina, ipovedenti, con disabilità intellettive, malate di Alzheimer, e donne sopravvissute al tumore al seno“, racconta Lorenzo Radice co-fondatore e presidente dell’accademia.
La scherma come palestra di vita
Una pedana di 14 metri e larga 1, la spada, la sciabola o il fioretto in pugno: ogni giorno, anche nei periodi delle zone rosse e dei lockdown, le donne e gli uomini dell’Accademia scherma Milano hanno sfidato se stessi, il proprio corpo e la propria volontà. Allenamento dopo allenamento.
“Chi tira di scherma, per statuto della palestra, deve pensare che il suo corpo, qualunque sia il limite, possa farlo divertire“, spiega Radice, due volte campione italiano nella spada a squadre e che ha lasciato la carriera da manager per investire le sue energie nel progetto. Oggi in Accademia si allenano 140 atleti normodotati, sono otto quelli non vedenti, diciotto i ragazzi che tirano di scherma e hanno disabilità fisiche.
“In questi anni abbiamo aggiunto alla squadra otto ragazzi con autismo e sindrome di Down. Non è finita, in palestra abbiamo corsi per persone malate di Alzheimer e donne sopravvissute al tumore al seno. Ognuno lavora con la sua classe, ma tutti si incrociano in pedana”, aggiunge Radice che rivela un piccola segreto: “I ragazzi normodotati e in carrozzina tirano anche di scherma bendati, mentre i non vedenti si allenano anche sulla sedia a rotelle”. Perché in questo spazio si impara la scherma, ma anche che la vita, che è fatta di diversità.
Quando ad attivare la scherma sono i non vedenti
Ma facciamo un passo indietro, non per parare un colpo in pedana, ma per capire com’è nata questa palestra di scherma e di inclusione. “Com’è possibile far duellare due persone non vedenti? È possibile farle stare nei 14 metri? Cercando di risolvere problemi come questi è iniziata l’avventura dell’Accademia scherma Milano”, spiega Giuseppe Rizzi, non vedente e uno dei pionieri del progetto insieme a Lorenzo Radice.
“Prima ancora di salire sulla pedana, andava fatta una scelta perché non c’era una ‘convenzione schermistica’: ovvero l’arma da usare in allenamento e nelle gare per noi non vedenti. La spada era l’unica soluzione, perché rispetto al fioretto e alla sciabola, la stoccata sul corpo dell’avversario è valida qualunque punto raggiunga”. I due atleti ciechi o ipovedenti, che sono bendati per pareggiare la condizione, partono dalle due estremità della pedana – ovvero le due linee di guardia – per colpire il proprio avversario. A differenza di quella per i normodotati, in quella per i non vedenti c’è una linea direttrice in rilievo che, se calpestata, funge da guida, “ti dà la garanzia di essere sempre di fronte al tuo avversario e ti accompagna alla ricerca del primo contatto tra le lame”, spiega Rizzi. Gli atleti si sfidano tenendo sempre almeno un piede sulla direttrice centrale. “A quel punto – osserva Radice con il piglio del tecnico – che i duellanti siano vedenti o meno non conta più, conta la tecnica, l’impegno e l’abilità degli spadaccini”.
Tecniche da spadaccini non vedenti
Il suono che si sente se il colpo va a buon fine è il celebre bip. E per gli spadaccini non vedenti è fondamentale: “A quel punto l’arbitro descrive la dinamica della stoccata, ma chi è andato a bersaglio per primo lo ha già sentito. Insomma sai di essere stato più rapido oppure di aver subìto l’affondo”.
Allenamento, sudore, adrenalina e tecnica. Questo è il potere dello sport che crea inclusione. C’è il rischio di farsi male? “Attacchiamo alla cieca, questo è poco, ma sicuro – afferma sornione Giuseppe Rizzi –, ma non si corre alcun rischio. La divisa da schermidore, o da gelataio come la chiamiamo tra di noi perché è interamente bianca, ci protegge perché è in Kevlar e non permette che la spada ti infilzi o ferisca anche se il colpo è brandito con intensità”. In più la mano che tiene la spada, uno dei punti più esposti insieme alla testa protetta dal casco di ferro, è guantata.
Anche grazie all’accademia di Lorenzo Radice la scherma per non vedenti si sta diffondendo sempre più in Italia, tanto che la Federazione nazionale di scherma ha riconosciuto un circuito nazionale per questo sport, coronato nel 2019 a Modica dal primo torneo internazionale organizzato in italia.
Far diventare la scherma per non vedenti disciplina olimpica e portare il fioretto in carcere
La scherma per non vedenti italiana è un modello che atleti come Giuseppe esportano ad ogni gara, che sia in Francia, in Spagna o Portogallo: un percorso coronato lo scorso 21 novembre quando nella loro palestra è andato in scena il 1° Trofeo internazionale scherma non vedenti Città di Milano. “Siamo felici di aver ospitato questa rassegna. L’obiettivo è ora portare la scherma non vedenti tra gli sport paralimpici. Magari tra quelli ‘dimostrativi’ a Parigi 2024 e in qualità di disciplina ufficiale a Los Angeles 2028”, spiega Radice.
Ma c’è di più. Da agosto 2020 i fioretti e le spade sono entrati nel carcere minorile Beccaria di Milano dove, due volte a settimana, i ragazzi imparano uno sport fatto di regole. “Sembra un paradosso in un penitenziario, ma entrambi i contendenti hanno un’arma in mano, eppure devono rispettare l’avversario. Questi codici ben definiti stanno aiutando questi giovani a conoscersi meglio, a elaborare le reazioni emotive anche di fronte alla sconfitta in pedana, e a incanalare la loro rabbia verso le sfide che la vita ha in serbo per loro una volta usciti”. Per questo Lorenzo ha pensato di avviare una collaborazione anche con alcune comunità per i ragazzi usciti dal carcere, in modo da continuare il percorso iniziato dietro le sbarre.
Un obiettivo possibile per chi come l’Accademia Scherma Milano da anni abbatte ogni barriera sul percorso dei suoi schermidori, facendoli andare oltre le regole esistenti e i limiti imposti dai corpi, per farli salire e divertire in pedana.
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