
I cittadini della Tunisia dovrebbero approvare a larga maggioranza la nuova Costituzione, che accentra fortemente i poteri nelle mani del presidente.
Tra le richieste depositate, 5 sono sulla scuola, 3 sul jobs act, uno sulle trivelle (di nuovo) e uno sugli inceneritori. Per un totale di 10 referendum.
Tra esattamente un anno potremmo essere chiamati a votare per una serie di referendum presentati in queste ultime settimane. Nonostante l’andamento del quorum negli ultimi anni.
Negli ultimi vent’anni le consultazioni referendarie non hanno quasi mai raggiunto il quorum della metà più uno degli aventi diritto al voto, previsto dalla Costituzione.
Andarono a votare appena più del 30% degli elettori in quelli del 1997 (sette quesiti, su vari temi, tutti proposti dal Partito Radicale). La stessa identica cosa successe nel 2000: altri sette referendum su argomenti diversi, tutti su impulso dei Radicali. Quorum sfiorato (49,6%) nel 1999 per l’abolizione della quota proporzionale nelle elezioni della Camera dei deputati (promotori Segni e Di Pietro). Nei referendum del 2003, 2005 e 2009 il numero dei votanti si fermò addirittura intorno al 25%.
Nel 2011 passarono i quesiti sull’acqua pubblica, trascinati da quello sul “legittimo impedimento”, giunto sull’onda dei guai mediatico-giudiziari di Silvio Berlusconi.
Il risultato di domenica 17 aprile è cronaca: percentuale di affluenza alle urne ferma al 31%. Il referendum “sulle trivelle” non ha raggiunto il quorum.
Istituto referendario in crisi? Meccanismo da rivedere? Dato questo quadro, sono prevedibili i commenti che accoglieranno la notizia che esattamente tra un anno potremmo tornare alle urne per 10 referendum “nuovi” che sono stati da poco presentati alla Corte di Cassazione, tra cui uno che riguarda di nuovo le estrazioni di idrocarburi.
Cinque referendum sono sulla scuola. Promossi dai sindacati degli insegnanti, vogliono abolire una serie di novità introdotte dalla riforma sulla scuola del governo Renzi. Riguardano in particolare: la distribuzione dei finanziamenti agli istituti, i poteri dei presidi (due quesiti solo su questo punto), l’obbligo di alternanza tra scuola e lavoro, il premio al merito che il preside può assegnare gli insegnanti.
Tre referendum sono sul Jobs Act. Promossi dal sindacato Cgil, vogliono abrogare l’indennizzo economico per i lavoratori licenziati senza giusta causa, al posto dell’obbligo di reintegro; nonché il lavoro accessorio, quello che viene pagato con i cosiddetti “voucher“. Il terzo, più complesso, ha a che fare l’obbligo di “responsabilità solidale” negli appalti.
Il nuovo referendum che ha che fare con le piattaforme petrolifere (ma non solo quelle) ha un approccio ben più massimalista rispetto a quello di domenica scorsa, limitato alla durata delle concessioni estrattive per gli impianti entro le 12 miglia dalla costa, e consiste in un unico quesito che ha lo scopo di vietare qualunque attività di ricerca o sfruttamento degli idrocarburi in tutto il territorio nazionale. È stato presentato dall’associazione “Casa dei diritti sociali”.
Il referendum sugli inceneritori punta ad abolire una norma contenuta nel decreto “Sblocca Italia”, del 2014, che rende più semplice e rapido per il governo costruire inceneritori che producono energia bruciando rifiuti.
I questi saranno esaminati dalla Corte Costituzionale, che dovrà decidere se sono legittimi e possono essere ammessi. Nel frattempo i promotori avranno tre mesi di tempo per raccogliere le 500 mila firme necessarie perché le richieste vengano accolte. Se ce la faranno, e se la Corte approverà, si potrebbe tornare a votare in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno del 2017.
In quanti non si sa.
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