
Un’invasione che sta mettendo a rischio l’ecosistema lagunare e le attività ittiche. Tra scarsi monitoraggi e l’invito al consumo umano, si sta perdendo di vista il vero problema: la perdita di biodiversità.
Il cetaceo, trovato agonizzante, ha vomitato alcune buste ma non ce l’ha fatta. Nel suo stomaco trovati circa 8 chili di plastica.
Se, come sosteneva il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach, “siamo quello che mangiamo”, il globicefalo (Globicephala) morto nel sud della Thailandia non era altro che plastica. Nello stomaco dello sfortunato cetaceo sono state infatti trovate oltre ottanta buste di plastica per un peso complessivo di circa otto chili.
Il globicefalo, un giovane esemplare maschio, è stato trovato in fin di vita lo scorso 28 maggio nel canale di Na Thap, vicino al confine con la Malesia, secondo quanto riferito dai funzionari della marina thailandese. Per circa una settimana veterinari e volontari hanno provato a soccorrere l’animale, aiutandolo a stare a galla con delle boe, riparandolo dal sole e cercando di nutrirlo, ma invano.
Durante i tentativi di salvataggio il globicefalo ha vomitato cinque sacchi di plastica, ma il suo stomaco ne era pieno e non è bastato. L’abnorme quantità di plastica nel corpo ha impedito all’animale di nutrirsi e lo ha condotto alla morte. “Se hai 80 sacchetti di plastica nello stomaco, muori”, ha dichiarato senza mezzi termini Thon Thamrongnawasawat, biologo marino e docente dell’università Kasetsart.
La plastica è una delle principali minacce per gli oceani, passati da essere culla della vita a discarica dell’umanità. Una ricerca del 2015 ha scoperto che il 90 per cento degli uccelli marini di tutto il mondo ha rifiuti di plastica nello stomaco. La Thailandia, in particolare, è uno dei maggiori consumatori di buste di plastica al mondo. Ogni anno, ha spiegato Thon Thamrongnawasawat, almeno trecento animali marini, tra cui globicefali, tartarughe marine e delfini, muoiono nelle acque thailandesi dopo aver ingerito rifiuti di plastica.
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