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La psicologa Rosa Mininno “prescrive” romanzi e saggi ai suoi pazienti, nelle scuole e ai corsi di formazione. Ha successo perché, dice, guardare le cose da un punto di vista diverso funziona sempre.
Il 24 dicembre scorso, sul sito di uno dei principali quotidiani canadesi è apparsa una storia curiosa. È la storia di Donald Weaver, uno scienziato e neurologo di Toronto che ai suoi pazienti affetti da demenza prescrive poesie, centellinate più dei medicinali ma comunque, dice, preziose per chi le riceve. A modo suo, il medico canadese esercita l’uso della letteratura a scopo terapeutico: la biblioterapia.
Questa farmacopea di “balsami balzachiani, lacci emostatici tolstoiani, pomate di Saramago e purghe di Perec e Proust” – così le scrittrici Susan Elderkin e Ella Berthoud – da Aristotele ad oggi non ha mai smesso di dimostrare lo stretto legame tra arte e scienza nella comprensione della sofferenza umana.
Dall’ansia alla depressione, dalle fobie alle disfunzioni sessuali, tutto si può “guarire” con un libro, anche se un libro da solo non basta. Mentre in tempi recenti medici e ricercatori sperimentano il potere lenitivo della lettura nelle scuole e nei centri di formazione, in ambito clinico la biblioterapia è ormai uno strumento riconosciuto di coping, in psicologia una serie di strategie mentali e comportamentali che una persona mette in atto per fronteggiare situazioni problematiche.
Per scoprire quali, basta sfogliare l’elenco tragicomico del volume Curarsi con i libri. Rimedi letterari per ogni malanno redatto dalle autrici e biblioterapiste inglesi di cui sopra. Cuore spezzato? La soluzione è “Jane Eyre”. Costipazione? “Shantaram” (sì, avete letto bene). L’antologia “Una cosa piccola che sta per esplodere” di Paolo Cognetti è suggerita nei casi di disturbi dell’alimentazione perché contiene un delicato racconto sull’anoressia. C’è anche un titolo per aiutare le vittime di bullismo: “Occhio di gatto” di Margaret Atwood.
Leggere un libro non fa miracoli, specialmente se il campo è quello del fai da te. Il ruolo di “biblioterapista presso me stesso” è distante anni luce dalla biblioterapia clinica, dove sotto la guida di un supervisore diventa valido strumento di autoaiuto. “La biblioterapia è una tecnica che va ad integrare la psicoterapia. Prevede un percorso guidato da personale competente. Altrimenti si tratta di promozione della lettura”, – puntualizza la dottoressa Rosa Mininno, psicologa e psicoterapeuta, fondatrice nel 2015 della prima Scuola di biblioterapia in Italia. La scuola organizza workshop ed eventi rivolti a psicologi, psicoterapeuti, educatori, insegnanti, librai, bibliotecari, operatori culturali, associazioni.
Ci sono figure prestate dal mondo del coaching e del couseling che si sono “buttate” nella biblioterapia. Diversa invece la figura del biblioterapeuta, che deve obbligatoriamente essere uno psicologo o psichiatra.
Insomma, largo ai consigli del libraio di quartiere e del booktoker dello schermo accanto, ma se la richiesta è di natura terapeutica, educativa o formativa, rivolgersi ad un professionista è d’obbligo.
D’altronde il cartello all’ingresso ha sempre parlato chiaro: “Istituto di bibliopatia. Trattamento con i libri a cura di competenti specialisti”. È il 1916 e il reverendo americano Samuel McChord Crother, colui che per primo sfodera la parola ‘biblioterapia’ in un articolo per l’Atlantic Monthly, si imbatte in questa scritta nel seminterrato della sua chiesa, utilizzato come studio dal biblioterapeuta ante-litteram Bagster. Il suo programma è rivolto specialmente a pazienti con problemi affettivi e di dipendenza e prevede la lettura, seguita da un dialogo con un medico o con un gruppo.
La svolta arriva negli anni Trenta, grazie al lavoro dei fratelli psichiatri Karl e William Menninger: nella loro clinica in Kansas prescrivono materiali di lettura ai pazienti ospedalizzati e gettano le basi per lo sviluppo della metodologia biblioterapica moderna.
La chiave di tutto è l’immedesimazione. Ne è convinta la laureanda Caroline Shrodes, quando nel 1949 sostiene una tesi pionieristica per l’epoca: leggere un momento di gioia, una situazione di tensione o di speranza vissuto da un personaggio ha un riverbero emotivo potente, come se ciò che stiamo leggendo accadesse a noi. O come se accadesse agli altri, suggeriscono alcuni studi recenti dell’Università di Toronto. Immaginare le sensazioni e i pensieri degli eroi dei romanzi, infatti, sembrerebbe affinare la capacità di capire le persone reali: la lettura allena l’empatia.
Ogni lettore quando legge, legge se stesso
“Il libro funziona proprio in questo modo – conferma Mininno – Attraverso l’identificazione con i protagonisti di un romanzo una persona trova similitudini con la propria storia personale o affinità psicologiche. Così per analogia o per contrasto un testo narrativo può stimolare determinate prese di coscienza che altrimenti potrebbero rimanere per sempre latenti”. In pratica, una somministrazione in dosi controllate di situazioni e possibilità che sublima in una sorta di catarsi, la “purificazione dell’anima” teorizzata da Aristotele, qui intesa come mezzo per scardinare l’immobilismo di certi comportamenti disfunzionali dei pazienti. E far vedere con occhi diversi il mondo, se stessi e i problemi.
Infine, la fioritura. La fase conclusiva del percorso biblioterapeutico che Mininno ama definire ‘progettazione’: “Chiedo sempre alle persone di elaborare uno scritto, un progetto, per mettere in pratica ciò che si è imparato. È il momento più bello che ci restituisce il valore di tutto il viaggio”.
La biblioteca di chi “guarisce” con i libri uno se la immagina infinita, come infinite sono le sensazioni umane, e in continua evoluzione. Penso a una sensazione recente, quell’ansia da crisi climatica chiamata solastalgia. C’è un libro anche per questo? “Natura come cura di Richard Mabey”, risponde rapida Mininno. Uno scrittore e botanico depresso, i boschi, la rinascita: già la trama accende un barlume di speranza. La speranza che alla fine di tutto abbia ragione Carla Benedetti, autrice di un piccolo, bellissimo saggio che titola così: La letteratura ci salverà dall’estinzione.
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