In pandemia, stress da isolamento e disturbi alimentari. Una lezione da non ignorare

L’emergenza da Covid-19 ha restituito valore al contatto sociale come “nutrimento” per il corpo e lo spirito. Ne parliamo con il nutrizionista e psichiatra Stefano Erzegovesi.

  • La pandemia da Covid-19 ha accelerato la presa di coscienza sulle priorità sociali, economiche e ambientali.
  • Isolamento e troppo tempo trascorso online per i giovani sono stati all’origine di un aumento dei disturbi alimentari.
  • Anche disuguaglianza e crisi climatica sono temi centrali per gestire eventuali prossime pandemie

Ammettiamolo, nessuno vuole più sentire parlare di pandemia. Certo, non è ancora finita, lo dicono i contagi. Il punto è che dopo due anni di perdite terribili gli italiani ce la stanno mettendo davvero tutta per tornare alla normalità. Ma quale normalità? Troppe cose sono cambiate. Alcune le abbiamo scoperte strada facendo, portate a galla dalla risacca dell’emergenza che ad ogni nuova ondata ha setacciato le nostre priorità. Meno hashtag e più gite scolastiche, meno PIL e più inclusione, meno conferenze e più tagli alle emissioni di CO2, per migliorare la qualità della nostra vita e non ripetere gli errori del passato in quella che potrebbe essere la prossima emergenza sanitaria. Se l’Organizzazione mondiale della sanità esprime preoccupazione e nel report appena pubblicato invita i governi a non abbassare la guardia, c’è una parte che spetta anche a noi. Un cambiamento è possibile nella vita di tutti i giorni, prendendo coscienza di ciò che abbiamo vissuto. 

In pandemia ci si è visti da fuori

“Inquadrandola dal punto di vista psicologico, la pandemia ha portato due grossi problemi: uno è sicuramente l’isolamento”, spiega il dottor Stefano Erzegovesi. “Il contatto sociale è a tutti gli effetti una forma di nutrimento, esattamente come il cibo, l’aria e l’acqua. Quindi la mancanza di questa possibilità di vicinanza, confronto e scambio è stato un motivo di stress altissimo”.

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Durante la pandemia sono aumentati i casi di disturbi alimentari © bymuratdeniz/iStock

Erzegovesi è un nutrizionista, psichiatra e all’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano è primario del Centro per i disturbi alimentari, in cui rientrano tutti quei casi in cui il cerchio che unisce cibo, emozioni e psiche si spezza e trascina alla deriva chi ne soffre. Tra la prima e la seconda ondata di Covid-19, il centro che dirige ha visto aumentare i consulti del 400 per cento, un numero impressionante specialmente se rapportato all’età dei pazienti, la maggior parte molto giovani. L’anoressia nervosa, ad esempio, colpisce al 90 per cento le donne tra i 15 e i 25 anni d’età, e si manifesta con il terrore di ingrassare, il rifiuto del cibo, l’allenamento smodato e sbalzi d’umore. Smettere di mangiare, o non smettere mai. Anche il binge eating, con le sue grandi abbuffate talvolta prodromo dell’obesità, ha infatti trovato la strada spianata tra le identità ancora abbozzate dei ragazzi. 

Da dove arriva questo malessere? Per il dottor Erzegovesi la risposta è nello schermo: “Con la didattica a distanza, i social network e le videochiamate ci siamo trovati a vivere sempre davanti allo specchio. L’autostima e la soddisfazione corporea ne hanno risentito perché l’attenzione si è spostata dall’interno, fatto di emozioni e sensazioni, all’esterno. È come vedersi sempre da fuori”. 

Meglio, allora, non ignorare la lezione. È unanime l’invito dei medici a limitare il tempo trascorso sui canali digitali, da sostituire, ad esempio, con attività che stimolino l’attenzione sostenuta come leggere un libro o costruire qualcosa con le mani. Fermo restando l’impegno a rivolgersi agli specialisti alle prime avvisaglie di disagio psicologico. Per fortuna il distanziamento è finito e le richieste d’aiuto sono tornate stabili. Tra i ragazzi si respira però un residuo di allerta: poter andare di nuovo in gita coi compagni di classe è bellissimo, ma se poi in autunno ci chiudono ancora? 

Le cose che contano 

Oltre ai ragazzi, l’eventualità di nuove restrizioni impensierisce anche gli adulti. Si teme di perdere il lavoro e di ritrovarsi più poveri di prima. Una paura fondata, stando ai dati Istat: dopo il miglioramento del 2019, nell’anno della pandemia la povertà assoluta è aumentata raggiungendo il livello più elevato dal 2005, specialmente nelle famiglie. 

Ad occuparsi dei figli durante l’emergenza sono state soprattutto le donne equilibriste, come le definisce Save the children in un rapporto recente, pagando un prezzo altissimo. Non importa che tra smartworking e didattica a distanza abbiano dimostrato una capacità ammirevole di adattarsi: dopo l’emergenza sanitaria le ingiustizie di genere nel mondo del lavoro sono rimaste.

Nel primo semestre 2021 solo poco più di un contratto a tempo indeterminato su dieci attivato è a favore delle donne, guadagnando mediamente il 20 per cento in meno degli uomini a parità di impiego. Il futuro potrebbe migliorare grazie alla proposta per la parità salariale tra uomini e donne, divenuta finalmente legge ad ottobre 2021.

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Il 77,4 per cento delle dimissioni volontarie del 2020 riguarda le lavoratrici madri © pixdeluxe/iStock

Guardando a questa situazione, oltre alle disuguaglianze emerge un altro tema cruciale. Molti considerano il momento presente un’occasione da non sprecare per archiviare l’ossessione per la crescita economica. I dati disponibili ci dicono che il benessere della collettività dipende sempre più da altri fattori e che il PIL non è l’unico indicatore di qualità della vita. Esistono anche altri parametri, dalla più equa distribuzione del reddito e della ricchezza alla coesione sociale, la cui salvaguardia rende meno sole le persone di fronte alle difficoltà, per finire con il diritto a vivere in un ambiente salutare

Ambizione climatica 

Nonostante la battuta d’arresto delle emissioni di CO2 durante i lockdown, oggi in Italia si continua ad ammalarsi per lo smog. Gli scienziati sostengono che con la crisi climatica abbiamo creato l’era del pandemicene agevolando la trasmissione di virus tra le specie e spianando il terreno per la prossima pandemia. La crisi climatica corre veloce, le nostre azioni no, causando una brusca frenata al raggiungimento di alcuni degli Obiettivi di sviluppo sostenibile

Ce n’è abbastanza per farsi venire l’ecoansia? il dottor Erzegovesi non ne è convinto: “L’ansia per definizione è la paura di un pericolo immaginato e non reale, che diventa talmente invadente da diventare paralizzante. Invece le nuove generazioni sanno che il clima può creare danni ben peggiori della Covid-19 e questo li porta verso prese di posizione lucide e positive”. Nessuno mette i ragazzi in un angolo, nemmeno l’ambientalismo svogliato di politici, istituzioni e media. È quanto emerge anche dalle richieste chiarissime presentate all’ultima Youth4Climate, la conferenza dei giovani sul clima che si è tenuta il settembre scorso a Milano. 

Stiamo uccidendo la Terra. Le pandemie sono conseguenze dei nostri sbagli

Greta Thunberg

I giovani ambiscono al coinvolgimento all’interno dei processi decisionali e nella stesura delle politiche climatiche a livello locale, nazionale, internazionale, inclusi i negoziati. Un atteggiamento costruttivo, che più che alla transizione fa pensare alla conversione ecologica. Conversione viene dal latino cum-vertere, che significa cambiare direzione assieme, ed è quello che auspica anche il dottor Erzegovesi: “Se deve cambiare qualcosa nel modo di approcciarsi all’ambiente sicuramente viene dai ragazzi che vanno sostenuti in tutti i modi possibili”, conclude. 

“Ricordiamoci che, dove c’è una visione di sostenibilità ambientale, automaticamente c’è una visione della vita pacifica, che promuove uno stile relazionale legato alla vicinanza, alla gratitudine e allo scambio. Tutte cose che fanno bene al Pianeta e alla nostra salute, fisica e psichica”. Pandemia, conflitti, ambiente, tutto quanto è connesso.

 

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