Brexit, le conseguenze per il mondo dell’auto ecologica

È un terremoto che scuote l’Unione europea e promette, se non di rivoluzionare, quantomeno di mutare profondamente i rapporti tra il Continente e le terre d’Oltremanica. La Brexit, vale a dire il referendum che ha sancito la fuoriuscita della Gran Bretagna dall’Ue, avrà ripercussioni su ogni attività produttiva nel Regno Unito. In primis sul settore

È un terremoto che scuote l’Unione europea e promette, se non di rivoluzionare, quantomeno di mutare profondamente i rapporti tra il Continente e le terre d’Oltremanica. La Brexit, vale a dire il referendum che ha sancito la fuoriuscita della Gran Bretagna dall’Ue, avrà ripercussioni su ogni attività produttiva nel Regno Unito. In primis sul settore dell’auto che, nei giorni antecedenti la consultazione popolare, aveva definito come “un incubo” la possibile vittoria dei separatisti. Ebbene, l’incubo è diventato realtà.

 

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L’ex premier David Cameron ospite dello stabilimento Nissan di Sunderland, dove viene prodotta la berlina elettrica Leaf.

Regno Unito pioniere della mobilità sostenibile

L’auto elettrica più venduta al mondo, la Nissan Leaf, è prodotta in Inghilterra, più precisamente nello stabilimento di Sunderland, nella contea di Tyne and Wear. Il Regno Unito, inoltre, sarebbe dovuto divenire la patria dei primi modelli Mini a batteria e la piattaforma europea di lancio per la guida autonoma, oltre a essere una delle realtà economiche e politiche maggiormente orientate alla mobilità alternativa, come dimostrato dalla sperimentazione delle prime autostrade “elettriche”, dotate di una corsia di ricarica wireless per i veicoli privi di motore endotermico, dall’applicazione di sensibili sconti sui modelli a ridotte emissioni e dalla prototipazione di nuove forme d’alimentazione a idrogeno. Punti di forza, attività e propositi che, ora, potrebbero essere messi in discussione, portando a un rallentamento nell’evoluzione “verde” sia del Paese sia dell’ormai abbandonata Unione europea. Se da un lato si teme per la riduzione degli investimenti pubblici in innovazione, dall’altro lo spettro dei dazi doganali, delle tassazioni e dell’isolamento industriale ha già iniziato a incombere sul Regno Unito, spiazzando le case straniere che, proprio Oltremanica, costruiscono vetture.

 

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In Gran Bretagna hanno stabilimenti produttivi svariati costruttori di primo piano. Ad esempio Volkswagen, Honda, Nissan, Toyota, Ford, Bmw, Mini, Jaguar, Land Rover, General Motors e Bentley.

700mila posti di lavoro legati all’auto

La Gran Bretagna è (anzi era) il secondo mercato più importante della Ue. Il 77 per cento delle auto prodotte nel Paese, quantificabile nel 2015 in 1,6 milioni di veicoli, è destinato all’esportazione e oltre 700mila posti di lavoro, secondo il premier dimissionario David Cameron, dipendono dall’industria automotive, sostenuta e attirata Oltremanica da forti incentivi statali. Nello specifico, il Gruppo General Motors impiega 35mila addetti, Ford 14mila, Bmw e Nissan 8mila, Toyota 3.500 e Mercedes-Benz 3.400. In aggiunta, sono attivi nel Paese sei studi di design e tredici centri di ricerca e sviluppo. Tutti i costruttori, nei giorni antecedenti il referendum, si erano espressi per il sì all’Unione europea. Specie Ford e Bmw, arrivate addirittura a scrivere ai propri dipendenti invitandoli a considerare gli esiti nefasti di una vittoria separatista. Solo Aston Martin, Volkswagen e Vauxhall (appartenente al Gruppo GM) avevano mantenuto una posizione più neutrale, ma comunque non di sostegno alla Brexit. Ora si apre un periodo di profonda incertezza.

Conseguenze imprevedibili nel dopo Brexit

Nessuno può prevedere con precisione quale sarà l’impatto della Brexit sul settore dell’auto, specie ecologica. Toyota, però, ha già avvisato i dipendenti che aumenterà del 10 per cento la tassazione sulle vetture prodotte localmente, mentre la VDA, l’associazione dei costruttori tedeschi, ha parlato di “rischi” per i cento siti produttivi che nel Paese fanno capo ai marchi teutonici. Più concreto il Gruppo Jaguar Land Rover, sotto il controllo dell’indiana Tata, che reputa possibile una perdita di profitti, da qui al 2020, quantificabile in 1,25 miliardi di euro. Indipendentemente dalle previsioni più o meno catastrofiche, ciò che le case costruttrici temono maggiormente, almeno nel breve periodo, è la tempesta finanziaria scatenatasi nelle Borse di mezzo mondo, con pesanti ripercussioni per gli istituti di credito, con i quali gran parte dei gruppi industriali ha a che fare quotidianamente, e con perdite marcate per i titoli automotive. Fiat Chrysler Automobiles, ad esempio, perdeva oggi oltre il 7 per cento a Milano, Peugeot cedeva quasi il 13 per cento a Parigi e sia Bmw, sia Mercedes-Benz, sia Volkswagen sfioravano l’8 per cento a Francoforte.

 

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Il Gruppo Jaguar Land Rover teme che la Brexit porti una perdita di utili quantificabile in 1,25 miliardi di euro da qui al 2020.

Lo spettro dei dazi doganali

Teoricamente, essendo fuori dal mercato unico europeo, la Gran Bretagna dovrà sottostare a dazi doganali per ogni merce che lascerà il territorio per sbarcare in Europa. Incluse le auto, che quindi potremmo pagare più care. Questo, però, andrà negoziato nei prossimi due anni, dato che il futuro governo inglese e le istituzioni europee saranno chiamate a definire, punto per punto, le condizioni d’uscita dalla Ue. Al di là delle previsioni più catastrofiche, la partita è ancora tutta da giocare.

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