
Secondo il primo studio a indagare le cause del crollo della Marmolada, costato la vita 11 persone, l’evento è dovuto in gran parte alle alte temperature.
Nel permafrost artico si celano batteri pericolosi che a causa del riscaldamento globale potrebbero tornare a rappresentare una minaccia.
I cambiamenti climatici rappresentano probabilmente la più grande minaccia che la nostra specie deve fronteggiare. Le conseguenze di questo fenomeno sono ormai note, lo scioglimento dei ghiacci provocherà l’innalzamento dei mari, gli eventi metereologici diverranno più estremi e imprevedibili e saranno a rischio le risorse idriche e la sicurezza alimentare. A queste si aggiunge però un nuovo pericolo, l’aumento delle temperature globali libera infatti microrganismi rimasti per anni, secoli o millenni intrappolati nei ghiacci artici.
Lo scorso agosto in Russia sono morte due persone (un ragazzo di dodici anni e sua nonna dopo aver mangiato carne infetta) e oltre 2.300 renne a causa di un focolaio di antrace. Questa infezione batterica non si verificava in Siberia da oltre settanta anni, secondo gli scienziati le spore infettive sarebbero state rilasciate dai corpi sepolti sotto il ghiaccio decine di anni fa o da resti animali infetti. Lo scioglimento del permafrost, dovuto alle elevate e inusuali temperature che hanno toccato perfino i 35 gradi, avrebbe riportato in superficie le spore di Bacillus anthracis ancora in grado di uccidere uomini e altri animali e di insinuarsi nella catena alimentare.
“Le comunità batteriche del permafrost sono estremamente variabili, un grammo di suolo può contenere migliaia di differenti specie batteriche con miliardi di cellule”, ha spiegato Rachel Mackelprang, ricercatrice del Joint Genome Institute del dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti che ha partecipato alla ricerca. I ricercatori ritengono che lo scioglimento dei ghiacci artici potrebbe liberare antichi batteri che l’attuale scienza medica non saprebbe fronteggiare con efficacia.
Anche malattie dichiarate scomparse dal pianeta potrebbero tornare a rappresentare un pericolo, come il vaiolo. “Tra le conseguenze della fusione del permafrost potrebbe esserci il ritorno di infezioni mortali del Diciottesimo e Diciannovesimo secolo – si legge in un articolo pubblicato nel 2011 sulla rivista Global Health Action – soprattutto in prossimità dei cimiteri dove sono sepolte le vittime di queste infezioni”. Molti microorganismi non possono sopravvivere in condizioni di freddo estremo, ma alcuni possono invece resistere per molti anni. Nel 2014 e nel 2015 Jean-Michel Claverie, direttore dell’Istituto di Microbiologia del Mediterraneo Cnrs e professore di genomica e bioinformatica alla facoltà di Medicina dell’Università del Mediterraneo a Marsiglia, ha pubblicato insieme al collega Chantal Abergel i risultati degli studi su due virus ancora infettivi rinvenuti in un pezzo di ghiaccio di 30mila anni estratto dal permafrost siberiano.
La probabilità e la frequenza di focolai simili a quello scoppiato in Siberia dipenderanno dalla velocità con cui saliranno le temperature globali. Più minacciose dei batteri sepolti nel ghiaccio sono però, avvisano gli scienziati, le attuali malattie infettive, come la malaria, che stanno espandendo il proprio areale a causa del riscaldamento globale. Malattie antiche e moderne rappresentano, se ce ne fosse bisogno, un’ulteriore motivazione per abbassare drasticamente le emissioni inquinanti e per combattere i cambiamenti climatici.
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