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Disciplina, fatica, rigore marziale ma anche star system, ironia, anticonvenzionalità e soprattutto un vistoso dilatarsi dei limiti fisici ed anagrafici: ecco come e perché cambia l’identikit del campione sportivo ai giorni nostri.
Eccellere, stupire, superarsi, prevalere sui propri simili e soprattutto su se stessi. Lo sport agonistico è un gioco straordinariamente severo, attraverso il quale, da sempre, esistenze e carriere spesso e volentieri si consacrano o si disfano sul filo di lana di pochissimi decimi di secondo, o su colpi vincenti la cui virtuosistica perfezione viene immortalata e vivisezionata da innumerevoli moviole e filmati.
Esistono filosofi che individuano nello sport una sorta di sublimazione dell’istinto di guerra, altri che invece scorgono in esso un rigore e un’abnegazione che quasi corteggiano la morte nel tentativo di sospingere sempre più in là l’asticella del limite umano, stabilendo record e primati destinati a scolpire nella storia i nomi di chi ha dedicato buona parte della propria vita a costruirli. Eppure perfino il mondo dello sport, in sintonia con gli incessanti mutamenti sociali e culturali che ci circondano, si evolve di pari passo, subendo metamorfosi talvolta vistose o sorprendenti.
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Lo hanno clamorosamente confermato anche le ultime vicende agonistiche dell’atleta-prodigio giamaicano, classe 1986, Usain Bolt: mai dare nulla per scontato quando si tratta di competizioni mondiali. Al di là della sorprendente smentita dei pronostici della vigilia, che autorizzavano a sperare nella chiusura in bellezza di una carriera ai limiti del sovrannaturale (8 ori olimpici e 4 record mondiali svettano sul suo affollatissimo palmarès), il terzo posto del dimissionario velocista giamaicano alla finale dei 100 metri del Mondiale di atletica di qualche giorno fa appare come una vera e propria summa di paradossi. A suscitare stupore è innanzitutto l’immagine surreale del più anziano vincitore della medaglia d’oro (il 35enne newyorkese Justin Gatlin) che, appena conclusa la gara, si inchina platealmente al terzo classificato Bolt omaggiandone la superiorità.
Extra Special #ThankYou pic.twitter.com/O5jqRqotRw
— Usain St. Leo Bolt (@usainbolt) 6 agosto 2017
E se per l’uomo più veloce del mondo, prossimo al ritiro, perfino un bronzo olimpico può essere brutalmente equiparato ad una sconfitta, è sbalorditivo constatare come, da protagonista indiscusso della serata londinese, il campione giamaicano sia riuscito ad eclissare i primi due classificati monopolizzando il tifo e l’entusiasmo di un pubblico intento a tributargli in diretta una vera e propria festa d’addio. In molti attendono l’esito dell’ultima prova in assoluto, ovvero la staffetta 4×100, che Bolt dovrà disputare sabato 12 agosto ma, a prescindere dal risultato, è ormai evidente che, oltre all’abbagliante fulgore del suo percorso sportivo, il velocista rimarrà nella memoria collettiva per aver incarnato un modello alquanto atipico di campione, col suo piglio giocoso e irriverente, la sua dichiarata passione per il calcio e l’ironica levità di chi, dopo essere passato alla storia, afferma di volersi finalmente concedere “una vita normale”.
Contrariamente a Bolt, una volta oltrepassata la boa dei 30 anni altri celebri campioni planetari non solo non vogliono saperne di archiviare la carriera agonistica ma riescono a mantenersi competitivi e vincenti perfino ai danni dei loro colleghi più giovani e a prolungare la propria storia sportiva oltre limiti che, sino a qualche decennio fa, sarebbero apparsi semplicemente impensabili. Complice l’aspettativa di vita media oggi ben più elevata che in passato, e il più diffuso benessere alimentare e igienico-sanitario di cui la generazione degli atleti millennial può avvalersi, il momento di congedarsi dai riflettori e dai tifosi può essere più facilmente posticipato. È il caso, ad esempio, del tennista svizzero, classe 1981, Roger Federer che, alla non verdissima età di 36 anni appena compiuti, dopo ben 19 Slam vinti e l’ottavo trofeo di Wimbledon conquistato qualche settimana fa malgrado i precedenti infortuni alla schiena e ad un ginocchio, vive una nuova stagione di successo professionale suggellato dall’inequivocabile soprannome di “Foreverer”.
Analogamente la nostrana nuotatrice Federica Pellegrini, classe 1988, che dopo le delusioni dello scorso anno alle Olimpiadi di Rio de Janeiro aveva addirittura ipotizzato il ritiro, riesce a confermarsi primatista mondiale dei 200 metri stile libero sbaragliando lo scorso luglio a Budapest, in Ungheria, avversarie di quasi dieci anni più giovani. E a forzare ancor più platealmente i limiti della fisiologia femminile è intervenuta, da par suo, una macchina da guerra come la tennista americana Serena Williams, classe 1981, capace di vincere gli Australian Open mentre stava consapevolmente affrontando i primi mesi della gravidanza in corso.
Dopo aver faticosamente infranto, negli ultimi decenni, il monopolio mediatico del calcio, i campioni sportivi del terzo millennio sono riusciti ormai ad imporsi all’opinione pubblica come autentiche celebrità che non hanno nulla da invidiare ai protagonisti dello spettacolo o del cosiddetto star system, del quale anzi fanno ormai parte a pieno titolo. A differenza di quanto accadeva in passato, l’atleta di oggi deve saper affiancare alla disciplina e alla serietà professionale l’avveduta gestione imprenditoriale della propria immagine, con tutti i proventi economici che possono derivarne, non solo in termini di sponsorship ma anche di partecipazioni televisive e attività social.
Il 22enne campione olimpico di judo Fabio Basile, ad esempio, è immediatamente approdato all’attenzione del grande pubblico grazie alle interviste, alle esibizioni di danza nell’ambito del programma serale di Milly Carlucci e all’ampio seguito riscosso su Instagram e Twitter. Dunque la tecnologia incide ormai sulla quotidianità dei campioni sportivi non solo attraverso i big data e i software che analizzano le prestazioni degli avversari, ma anche mediante l’uso di quei social network che contribuiscono a sovrapporre o ad affiancare all’atleta il personaggio.
“tennis is our ?” pic.twitter.com/DnAwWOSqsX — Roger Federer (@rogerfederer) 30 luglio 2017
E talvolta l’operazione sortisce un esito talmente felice che i personaggi continuano a vivere di vita propria perfino dopo che le imprese agonistiche sono state sospese o interrotte, com’è accaduto all’ex campionessa di tennis francese Marion Bartoli, classe 1984, che dopo aver trionfato a Wimbledon ha continuato a destare interesse ed inquietudine presso i suoi tifosi a causa dei gravi problemi di salute e della presunta anoressia.
Infine, lo stesso vale per Vanessa Ferrari, classe 1990, la ginnasta italiana più vincente di sempre, che dopo alcuni delicati interventi chirurgici e l’intenzione di ritirarsi, ha annunciato di voler partecipare alle prossime Olimpiadi di Tokyo nel 2020, regalando così ai fan, rimasti fedeli anche durante le fasi critiche, il sospirato lieto fine.
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