
D’ora in poi l’università di Oxford non investirà più nei combustibili fossili, ma solo nelle società che si impegnano seriamente per la decarbonizzazione.
La Chiesa anglicana lancia un monito alle aziende: hanno cinque anni per adeguarsi all’Accordo di Parigi, oppure dovranno fare a meno dei suoi investimenti.
Anche la Chiesa anglicana si aggiunge alla lunga lista di investitori che hanno deciso che non è più ammissibile finanziare a suon di miliardi chi contribuisce alla distruzione del nostro Pianeta. E lo dimostra approvando quasi all’unanimità un emendamento con cui si impegna a ritirare tutti i suoi investimenti dalle aziende che non si attivano, presto e coi fatti, per la lotta ai cambiamenti climatici. L’operazione, descritta dal quotidiano britannico The Independent, sarà completata nell’arco dei prossimi cinque anni.
La Chiesa anglicana investe i suoi capitali tramite alcuni enti: Church of England Pensions Board, fondo pensione che amministra circa 2,3 miliardi di sterline (2,6 miliardi di euro); Church Commissioners, che gestisce 8,3 miliardi di sterline (9,38 miliardi di euro) e nel 2017 ha donato 226,2 milioni (255 milioni di euro) alla Chiesa stessa; e Cbf Church of England Funds, che ha in mano altri 1,28 miliardi di sterline (1,45 miliardi di euro) ed è gestito dalla società specializzata Ccla.
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Finora la strategia di investimento della Chiesa anglicana è sempre stata impostata sul cosiddetto engagement. Quando investe in un’azienda, in sostanza, cerca di farsi sentire alle assemblee degli azionisti o di avviare un dialogo con il management, per convincerlo a indirizzare la propria strategia verso la tutela del Pianeta.
Ma domenica 8 luglio il Sinodo, riunito all’università di York, ha approvato il cosiddetto “emendamento Goddard”, che prende il nome dal suo promotore, il sacerdote Giles Goddard, membro del gruppo di lavoro sull’ambiente. Questa mozione cambia le carte in tavola e rende molto più incisiva l’influenza della Chiesa anglicana.
Per i prossimi cinque anni quindi la Chiesa anglicana terrà d’occhio le aziende in cui ha investito, per verificare che stiano operando cambiamenti concreti per allinearsi agli obiettivi sanciti dall’Accordo di Parigi. Se non passeranno questo test entro la scadenza del periodo di prova, fissata nel 2023, le imprese dovranno fare a meno dei suoi capitali, che verranno ritirati e investiti altrove. L’emendamento Goddard è stato approvato con una maggioranza schiacciante: 347 sì, quattro no e tre astenuti.
The @churchofengland announces it will cut ties with firms
that do not meet the terms of the #ParisAgreement by 2023 https://t.co/ZlOr0R0jQt#ClimateChange is the great existential threat of our times says Archbishop of Canterbury @JustinWelbypic.twitter.com/kWjroANxVf— UN Climate Change (@UNFCCC) 9 luglio 2018
“Il voto del Sinodo rende chiaro che la Chiesa deve assumere un ruolo di guida ed esercitare la sua leadership morale sull’urgente questione dei cambiamenti climatici”, ha dichiarato un portavoce della Chiesa anglicana.
Proprio il periodo-cuscinetto di cinque anni, ha dichiarato il vescovo di Manchester David Walker, si rende necessario per innescare nelle aziende un cambiamento reale. Limitarsi a disinvestire da un giorno all’altro dai produttori di combustibili fossili – ha spiegato – finirebbe quasi per deresponsabilizzarli, lasciandoli liberi di proseguire per la loro strada. Così facendo, invece, la Chiesa anglicana vuole darsi del tempo per convincere le aziende a cambiare il proprio modello di business e rispettare l’Accordo di Parigi.
I know I’ve been a bit obsessive in tweeting about Climate Change recently, but it really mattered to get the overwhelming support of #synod for our @churchofengland@tp_initiative engagement strategy. Thanks.
— David Walker (@BishManchester) 8 luglio 2018
La data del 2023 – continua il vescovo David Walker – è anche coerente con la tabella di marcia di Climate Action 100+, la campagna con cui 289 investitori stanno facendo pressione sulle aziende più inquinanti del mondo, sempre per convincerle a fare la loro parte per il clima. Partita con un nucleo iniziale di 100 grandi aziende, di recente è stata allargata a 161.
D’ora in poi l’università di Oxford non investirà più nei combustibili fossili, ma solo nelle società che si impegnano seriamente per la decarbonizzazione.
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