Breve storia dell’azionariato attivo

Portare le istanze ambientali, sociali e di governance dentro l’assemblea degli azionisti: è questa la filosofia dell’azionariato attivo.

Le imprese si concentrano solo sugli interessi degli azionisti (shareholders) trascurando tutti gli altri stakeholders (lavoratori, clienti, fornitori, comunità locali)? La società civile, negli anni, ha inventato una soluzione: diventare azionista. È proprio questa la logica dell’azionariato attivo. Acquistando un numero simbolico di azioni, si conquista il diritto di intervenire alle assemblee annuali delle imprese e di mettere i consigli di amministrazione di fronte alle loro responsabilità in campo ambientale e sociale.

I tre obiettivi dell’azionariato attivo

Negli anni le attività degli azionisti critici si sono focalizzate su tre obiettivi principali:

  • Farsi portavoce delle comunità del Sud del mondo, che spesso pagano le conseguenze delle attività delle multinazionali ma non sono rappresentate presso la loro casa madre.
  • Stimolare la responsabilizzazione e la partecipazione dei piccoli azionisti, divulgando il messaggio per cui la finanza non è solo terra di conquista per investitori istituzionali che smuovono miliardi; al contrario, anche i piccoli possono fare la loro parte.
  • Aumentare il peso dei piccoli azionisti nelle decisioni societarie, facendo da contrappeso ai grandi investitori e introducendo ulteriori elementi di valutazione e controllo.
L'azionariato attivo nasce negli anni Settanta, con l'obiettivo di mettere i consigli di amministrazione delle grandi imprese di fronte alle proprie responsabilità in campo ambientale e sociale.  © ingimage
L’azionariato attivo nasce negli anni Settanta, con l’obiettivo di mettere i consigli di amministrazione delle grandi imprese di fronte alle proprie responsabilità in campo ambientale e sociale. © ingimage

Il pioniere: il Centro Interreligioso per la responsabilità d’impresa

È il 1971 e all’assemblea degli azionisti di General Motors si leva una voce: l’azienda deve chiudere col Sudafrica fino a quando non verrà messa la parola fine al regime dell’apartheid. A lanciare la proposta è l’Interfaith Center on Corporate Responsibility (Centro Interreligioso per la Responsabilità d’Impresa), una coalizione di gruppi religiosi cattolici, evangelici ed ebrei. Da allora l’Iccr non ha mai smesso di pungolare le imprese del Fortune 500, proponendo centinaia di risoluzioni su tematiche che spaziano dal fracking alla prevenzione dell’HIV, dalla speculazione sulle materie prime alimentari alle retribuzioni dei dirigenti.

Nel 2014 negli Usa sono state presentate ben 454 istanze ESG alle assemblee degli azionisti.
Nel 2014 negli Usa sono state presentate ben 454 istanze ESG alle assemblee degli azionisti. © ingimage

L’avanzata degli azionisti critici, dalla Svizzera agli Usa

La fondazione Ethos per l’Investimento Sostenibile, nata nel 1997, oggi riunisce ben 222 fondi pensione e investitori istituzionali svizzeri. In poco meno di vent’anni, tra le altre cose, ha presentato alle assemblee generali di Credit Suisse, Zurich Financial Services e Nestlè risoluzioni per vietare l’accumulo delle cariche di presidente e CEO; ha pubblicato studi sulle remunerazioni dei dirigenti delle più grandi società quotate elvetiche; ha promosso la campagna “Say on Pay” per il voto consultivo sul sistema di retribuzioni.

Anche all’altro lato del Pianeta l’azionariato attivo avanza a passi sempre più spediti: secondo un report scritto da Heidi Welsh del Sustainable Investment Institute, nel 2014 negli Stati Uniti sono state presentate ben 454 risoluzioni relative a istanze ambientali, sociali e di governance, segnando un record assoluto.

 

Foto di apertura © ingimage

Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.

Articoli correlati
La strage dei bambini a Gaza nella foto vincitrice del World press photo 2024

Si chiamava Saly, aveva cinque anni. Nello scatto vincitore del World press photo 2024, il concorso di fotogiornalismo più importante al mondo, non si vede un centimetro del suo corpo senza vita. E non si vede nemmeno il volto della zia, Ines Abu Maamar, che lo stringe forte a sé. Mohammad Salem, fotografo dell’agenzia Reuters,