Smart city

La città serve alla natura quanto la natura serve alla città

Abbiamo davanti una scelta. Continuare a demonizzare le città o accettare che città e natura vanno armonizzate per un’urbanizzazione sostenibile.

Nel Ventunesimo secolo la crescita urbana vedrà la più rapida espansione nella storia dell’umanità. Nelle città dell’Asia e dell’Africa, in cui l’urbanizzazione avanza a un ritmo più veloce, la popolazione aumenterà di parecchi miliardi. Per questo motivo sarà necessario pianificare uno sviluppo massiccio delle infrastrutture urbane nelle strade, negli impianti di tubazione, nelle linee elettriche e nelle scuole. Nell’affrontare questa sfida, gli ecologisti, gli urbanisti, gli economisti e i paesaggisti sono sempre più tenuti a considerare il rapporto tra città e natura, in particolare il ruolo delle infrastrutture naturali, ossia gli habitat o gli spazi naturali ricreati dall’uomo da cui i cittadini traggono beneficio.

Le città hanno bisogno della natura

Che siano le foreste a mantenere intatta la qualità dell’acqua nei bacini idrici, gli alberi con le loro fronde a tenere al fresco le città durante le ondate di caldo o i parchi a contribuire al successo di una città e a migliorare la qualità della vita, le infrastrutture naturali sono di moda oggigiorno. Ma nonostante l’esaltazione suscitata da questo tipo di infrastrutture, spesso è difficile riuscire a trovare punti di riferimento che spieghino come pianificare e mettere in pratica questo tipo di progetti.

 

Oltretutto gli ambientalisti che hanno a cuore la natura spesso pensano che le città siano nemiche da combattere. L’espansione delle città, in effetti, ha causato la perdita di biodiversità.

 

La natura ha bisogno delle città

Le città offrono molte economie di scala, riducendo l’uso procapite di alcune risorse. Molti ambientalisti guardano all’attuale urbanizzazione della nostra specie con malinconia perché sostengono che questo fenomeno sancisca “la fine della natura”, per dirlo con le parole di Bill McKibben, attivista di 350.org . Quest’ultimo afferma che siamo arrivati a un punto in cui ogni metro quadrato di terra e ogni ecosistema è stato alterato dall’uomo e che dunque la natura vera e propria non esista più. Secondo il suo punto di vista le città rappresentano la fine, la morte della natura, perché sono spazi interamente creati e progettati dall’uomo per se stesso.

 

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Alberi e grattacielo a Londra © Samir Hussein/Getty Images

 

Se da una parte la natura selvaggia è sempre più rara, i processi naturali sono ancora molto importanti per le città. Invece di considerare il Ventunesimo secolo come la fine di qualcosa, bisogna cominciare a vederlo come un inizio. Stiamo creando un mondo nuovo, un mondo urbano. Questo mondo urbano potrebbe essere una distopia, un’utopia negativa, solo se siamo noi a permettere che ciò accada, perché esiste un altro modo di contemplare il nostro rapporto con il paesaggio. Piuttosto che assoggettare la natura al nostro volere, dobbiamo assoggettare il nostro volere per vivere in armonia con essa. In questo senso, la scienza dei servizi ecosistemici, definiti come quei benefici forniti dagli ecosistemi al genere umano, ci offre strumenti essenziali per seguire questi percorsi alternativi.

 

Siamo diventati una specie urbana a prescindere dal fatto che siamo pronti o meno per questo cambiamento. Se scegliamo di ignorare le vie della natura, se maltrattiamo il paesaggio come se fosse un oggetto usa e getta, allora la distopia si realizzerà. Se al contrario scegliamo di ragionare su come urbanizzare, allora avremo un mondo più bello e umano. In un certo senso, siamo noi a scegliere il mondo urbano che realizziamo e avremo il mondo urbano che ci meriteremo.

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