Investimenti sostenibili

Basta scuse: il clima deve diventare una priorità, anche per fondi e aziende

Le aziende e investitori che chiudono gli occhi di fronte ai cambiamenti climatici, ormai, non hanno più alibi. Grazie agli enti internazionali e alle società specializzate come Morningstar, si moltiplicano gli strumenti e le risorse per agire, adesso.

Da anni, negli ambienti della finanza, una frase risuona come un mantra: i cambiamenti climatici mettono a rischio non solo la salute del nostro Pianeta, ma anche i profitti di aziende e investitori. Per fare un solo esempio, che intasca i dividendi dei colossi del carbone deve rassegnarsi al fatto che, di anno in anno, questa fonte di energia verrà relegata sempre più ai margini e quindi sarà sempre meno un affare. E prevenire questo genere di danni è decisamente più saggio e conveniente rispetto a stare con le mani in mano, per poi tentare di correre ai ripari quando è ormai troppo tardi. Fino a un po’ di tempo fa, però, questo ragionamento suonava inevitabilmente astratto. Ora, non è più così. Esistono report, studi, rating, linee guida capaci di identificare quelle aziende e quei fondi che sono ancora troppo dipendenti da un modello economico ormai superato, indicando loro – passo dopo passo – la strada giusta per cambiare, rispondendo alle sfide del presente. Gli ultimi segnali in ordine di tempo arrivano da due nomi di tutto rispetto: Morningstar e la Task Force on Climate Related Financial Disclosures (Tcfd).

Climate Action 100+
Una mobilitazione per il clima ® Joe Brusky / Flickr

Morningstar dà i voti ai portafogli dei fondi

Ormai è universalmente noto: i cambiamenti climatici rappresentano un rischio finanziario vero e proprio. Ma come fanno gli investitori a capire se il loro portafoglio è pesantemente esposto a questi rischi o se, al contrario, sia coerente con un futuro a basse emissioni di carbonio? La risposta arriva da Morningstar. La società, una delle più celebri al mondo nel campo delle ricerche finanziarie indipendenti, all’inizio di maggio ha lanciato un vero e proprio indicatore ad hoc, che prende il nome di Morningstar® Portfolio Carbon Risk Score. Questo punteggio, basato sulle valutazioni della società specializzata Sustainalytics, in prima battuta verrà applicato a circa 30mila fondi. Per ora quelli europei si stanno dimostrando più preparati, a differenza di quelli dei mercati asiatici ed emergenti, che scontano parecchi ritardi. Gli Usa, invece, si collocano all’incirca a metà classifica.

E non è finita qui: la società assegnerà una sorta di “sigillo di garanzia” (chiamato Morningstar® Low Carbon Designation™) ai portafogli più virtuosi, che ottengono un carbon risk score basso e non sono particolarmente legati ai combustibili fossili, perché le società al loro interno si stanno attrezzando per far fronte agli impegni presi con l’Accordo di Parigi.

Le aziende hanno a disposizione centinaia di guide, corsi e report

Se i fondi investono nei titoli delle aziende, ciò significa che – risalendo verso la fonte – sono le aziende a dover identificare in modo puntuale i rischi legati ai cambiamenti climatici, per poi metterli nero su bianco. Questo sia per responsabilità verso gli investitori, sia per potersi attrezzare di conseguenza.

Un grande aiuto in questo senso è arrivato dalla Task Force on Climate Related Financial Disclosures (Tcfd), istituita dal Financial Stability Board del G20 e presieduta da Michael Bloomberg. Dopo mesi e mesi di lavoro, nell’estate 2017 è stato pubblicato il report finale che contiene tutte le linee guida (volontarie) da seguire. Ora, un altro importante passo avanti: un portale web, chiamato TCFD Knowledge Hub, che mette a disposizione tutti gli strumenti per tradurre queste raccomandazioni nel lavoro quotidiano.

Stiamo parlando di oltre 300 risorse – tra riferimenti normativi, video, report, corsi e così via – pubblicate da enti internazionali, associazioni di categoria, università, consulenti e altre aziende. Chiunque può selezionare quelle che ritiene più utili, sulla base del settore in cui opera o dell’area su cui vuole intervenire. Il sito è gestito dal consorzio internazionale Climate Disclosure Standards Board. Secondo Business Green, ad oggi circa 275 aziende, e 47 organizzazioni di altro tipo, hanno sottoscritto le linee guida della Task Force. L’auspicio è che questa platea si allarghi, proprio perché questo compito sta diventando sempre più semplice da portare avanti.

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