Investimenti sostenibili

Climate Action 100+. Gli investitori alle grandi aziende: “Sul clima è ora di fare sul serio”

Solo il 9 per cento delle aziende più inquinanti ha fissato obiettivi coerenti con l’Accordo di Parigi. I loro azionisti avvertono: “Non è abbastanza”.

Le grandi aziende globali stanno promettendo, almeno a parole, di cambiare rotta. Di abbassare le emissioni, abbracciare la transizione energetica, fare la loro parte per salvare il Pianeta dalla catastrofe climatica. Ma, se vogliono cambiare le cose, devono essere decisamente più ambiziose. A dirlo sono i loro azionisti.

Cos’è e cosa fa Climate Action 100+

Era il mese di dicembre 2017 e a Parigi era in corso il One Planet Summit, organizzato per fare un punto sull’Accordo di Parigi a due anni esatti dalla sua firma. In quell’occasione, un gruppo di grandi investitori decise di alzare la voce a nome del Pianeta e delle future generazioni, dando vita alla campagna Climate Action 100+, rivolta alle cento aziende più inquinanti del mondo.

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A quasi due anni di distanza, il progetto è cresciuto. 370 investitori, che gestiscono 35mila miliardi di dollari, tengono d’occhio 161 aziende, che messe insieme hanno una capitalizzazione di mercato di oltre 8mila miliardi di dollari e, soprattutto, sono responsabili di oltre due terzi delle emissioni di gas serra di origine industriale. Le loro pressioni hanno dato i frutti sperati? Il primo Progress Report, pubblicato a inizio ottobre, è ancora molto cauto.

Gli impegni delle aziende sono ancora troppo timidi

Il report inizia con le note positive, che a sorpresa arrivano dai settori più ostici, quelli in cui ridurre il proprio impatto ambientale è particolarmente difficile. È il caso di Maersk, il più grande armatore di navi mercantili al mondo, e del colosso alimentare Nestlè, che promettono di azzerare le emissioni nette entro il 2050. O della compagnia anglo-svizzera Glencore, che ha imposto un tetto alla produzione di carbone, di cui tuttora è la più grande esportatrice al mondo.

L’assoluta maggioranza, però, è ancora molto in ritardo. È vero che il 70 per cento delle 161 aziende ha stabilito dei target di riduzione delle emissioni nel lungo periodo, ma questi sono in larga parte insufficienti. Solo nel 9 per cento dei casi, infatti, sono in linea con l’obiettivo minimo fissato dall’accordo di Parigi sul clima, cioè il contenimento del riscaldamento globale entro i due gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali. Insomma, ancora non ci siamo. Il tema, se non altro, viene affrontato: nel 77 per cento dei consigli di amministrazione sono state stabilite responsabilità precise legate al clima, mentre il 30 per cento segue le linee guida della Task force on climate-related financial disclosures sulla rendicontazione dei rischi finanziari legati al climate change.

one planet summit
I capi di stato e di governo riuniti per il One Planet summit di Parigi, dove è stata lanciata la campagna Climate Action 100+ ©Tommaso Perrone/LifeGate

“Il coinvolgimento degli azionisti con la campagna Climate Action 100+ sta giocando un ruolo fondamentale nel cambiare l’atteggiamento delle aziende nei confronti dei cambiamenti climatici. Abbiamo assistito a impegni molto significativi da parte delle aziende”, dichiara Stephanie Pfeifer, che fa parte del comitato direttivo. “Tuttavia, abbiamo ancora molto altro da fare prima che il mondo aziendale sia in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Dobbiamo approfittare dello slancio che abbiamo guadagnato finora se vogliamo avere successo nella lotta ai cambiamenti climatici e al tempo stesso salvaguardare gli investimenti dai quali dipende il futuro di milioni di pensionati”.

Investitori e risparmiatori sono sempre più attenti, anche in Italia

Climate Action 100+ non ha il potere di obbligare le aziende a fare alcunché, ma conta su un discreto potere di persuasione, perché i suoi membri sono tutti azionisti delle 161 aziende monitorate. E le società quotate non possono dimenticarsi di soddisfare i bisogni degli azionisti.

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E in Italia? Anche nel nostro paese l’attenzione si fa sempre più viva, sia da parte dei grandi investitori (banche, assicurazioni, fondi pensione) sia da parte delle famiglie che hanno messo da parte qualche risparmio e vogliono assicurarsi che venga gestito in modo responsabile. La seconda edizione della ricerca “Il risparmiatore responsabile”, condotta dal Forum per la Finanza Sostenibile insieme a Doxa, testimonia che l’84 per cento dei risparmiatori ritiene molto o abbastanza rilevante poter investire in aziende compatibili con i propri valori e il 68 per cento ritiene che i temi ambientali, sociali e di governance siano molto o abbastanza importanti nel mondo della finanza e delle banche.

Lo conferma a LifeGate Marcello Colla, responsabile amministrazione, controllo e sostenibilità di Etica Sgr, la società di gestione del risparmio di Banca etica. “La sensibilità sta crescendo. Per fare un esempio, quest’anno il Salone del risparmio era totalmente incentrato sugli investimenti sostenibili e responsabili. Diventa ancora più importante, per gli investitori e i risparmiatori, capire fino in fondo i veri criteri attraverso i quali vengono investiti i loro soldi. Sempre più persone chiedono prodotti di investimento e di risparmio che siano in linea con i loro valori. Così aumenterà l’offerta, ma è importante che a ciò non si accompagni una diminuzione della qualità e del rigore dei criteri socio-ambientali”.

 

Foto in apertura © Robin Sommer / Unsplash

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