La Cop28 è finita, ma bisogna essere consapevoli del fatto che il vero test risiede altrove. Dalla disinformazione al ruolo delle città, ciò che conta avviene lontano dai riflettori.
Cop 21. Plurali, coniugazioni e parole tabù bloccano i negoziati
Al terzo giorno di discussioni, alla Cop 21 di Parigi la bozza di accordo è ancora in alto mare. Le delegazioni cambiano metodo di lavoro.
Fermi tutti: così non va. Dopo tre giorni di negoziati alla Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, Cop 21, le delegazioni delle 196 nazioni partecipanti hanno deciso improvvisamente di cambiare metodo. I delegati sono chiamati infatti a completare entro sabato 5 dicembre la bozza di accordo, per poi passare il testimone ai ministri nominati da ciascuna nazione. Questi ultimi, a loro volta, nella seconda settimana di lavori dovranno limare il testo, al fine di raggiungere un’intesa entro venerdì 11, giorno di chiusura della Cop 21.
Ma il tempo a disposizione comincia già a scarseggiare. E se la struttura del documento dovesse essere simile a quella attuale, ai ministri non basterà affatto “limare”. Non a caso, le Ong si erano già dette particolarmente preoccupate dalla prima bozza di cinquantacinque pagine, che presentava circa duecento “opzioni” ancora aperte e 1.200 locuzioni poste tra parentesi quadre (il che significa che necessitano di ulteriori discussioni).
A quanto pare, infatti, nonostante le belle parole con le quali i capi di stato e di governo hanno lanciato la conferenza, molti paesi sembrano aver fissato dei paletti ai quali non intendono rinunciare. Così, ad esempio, nella prima bozza l’articolo 2, opzione I, recitava testualmente che “l’obiettivo dell’accordo è di limitare la crescita della temperatura media globale [al di sotto dei 2ºC], [al di sotto degli 1,5ºC], [ben al di sotto dei 2ºC], [tra 1,5ºC e 2ºC]. O, ancora, “[il più possibile lontano dai 2ºC]”. E così via.
La situazione si è aggravata ulteriormente nella notte tra il 2 e il 3 dicembre. Una nuova stesura ha visto infatti diminuire le pagine del testo da cinquantacinque a cinquanta. Ma, al contempo, le opzioni sono aumentate a 250, e le espressioni da valutare sono diventate 1.400. Il dibattito si è così arenato su plurali e singolari, così come sull’utilizzo di “should” (dovrebbe) oppure di “shall” (dovrà). “Occorreranno ancora – osserva Mariagrazia Midulla, responsabile Clima e Energia del Wwf Italia – intensi negoziati e diverse bozze. C’è ancora molto lavoro da fare”.
“Il Sudafrica, assieme alla Cina – spiega un rappresentante della fondazione Nicolas Hulot, che segue da vicino i negoziati – ha chiesto di fermarsi e di modificare drasticamente il metodo di lavoro. La proposta è stata accolta: le decine di riunioni ristrette (“spin off”) incaricate di valutare singole questioni verranno ridotte a dodici. Sappiamo infatti che furono proprio le troppe opzioni lasciate aperte nel corso della prima settimana di lavori a contribuire al fallimento della conferenza di Copenaghen nel 2009. Ci sono ancora 48 ore di tempo, e occorre a questo punto un approccio diverso, trasversale”.
Soprattutto, “occorre accelerare”, come sottolineato dal ministro degli Esteri francese Laurent Fabius. La preoccupazione a Le Bourget è palpabile. Uno dei nodi più difficili da sciogliere è quello sui finanziamenti: su tale punto, nella giornata di mercoledì i toni si sono fatti più duri, con il gruppo dei G77 (che rappresenta 134 paesi in via di sviluppo) che ha chiesto garanzie ai paesi ricchi sul rispetto dei loro impegni.
Saudi Arabia trying to block reference to 1.5 degrees in draft decision/ADP group, saying it plays to media; not science. #COP21 #climate
— Elizabeth May (@ElizabethMay) 2 Dicembre 2015
Ma non è tutto: secondo quanto riportato dalla deputata ecologista canadese Elizabeth May su Twitter, alcuni stati starebbero rallentando sensibilmente il processo negoziale. In particolare l’Arabia Saudita, che non accetterebbe l’abbassamento a 1,5 gradi domandato dalle nazioni più vulnerabili. L’India, inoltre, paese fortemente dipendente dal carbone, avrebbe puntato piedi anche sul termine “decarbonizzazione”. Le sorti del Pianeta, insomma, dipendono anche da questioni lessicali.
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