
La Cop26 è stata un appuntamento vitale per l’Africa che contribuisce in misura minima ai cambiamenti climatici, ma ne sopporta le conseguenze peggiori.
Si aprirà tra poco più di due settimane la Cop 23 di Bonn. Obiettivo: rendere operativo l’Accordo di Parigi. Nonostante l’ombra di Donald Trump.
Mancano diciotto giorni all’avvio dell’appuntamento annuale più importante per la lotta ai cambiamenti climatici. La ventitreesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite (Cop 23) si terrà a Bonn, in Germania, dal 6 al 17 novembre. Si tratterà della prima organizzata dopo l’annuncio del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di voler uscire dall’Accordo di Parigi, intesa raggiunta da 195 nazioni al termine della Cop 21, nel dicembre del 2015.
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Nonostante l’ombra di Washington, il principale obiettivo della Cop 23 – ospitata per ragioni logistiche da una nazione europea ma la cui presidenza è affidata alle Isole Fiji, tra le nazioni più vulnerabili al mondo di fronte ai cambiamenti climatici – è proprio quello di tradurre in azioni concrete gli obiettivi contenuti nel documento siglato in Francia due anni fa. “La conferenza dovrà fungere da ponte tra il lavoro fatto a Marrakech nel corso della Cop 22 e quello che sarà effettuato nel 2018 in Polonia”, ha spiegato Frank Bainimarama, primo ministro delle Fiji e presidente della Cop 23 di Bonn.
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— COP23 (@COP23) 19 ottobre 2017
L’appuntamento previsto per la fine del prossimo anno a Katowice, infatti, sarà cruciale. È per quella occasione che ai governi di tutto il mondo verrà chiesto di rivedere i cosiddetti Indc (Intended nationally determined contributions), ovvero le promesse di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra avanzate in modo ufficiale dalla comunità internazionale. Tali impegni sono stati depositati già prima della Cop 21 di Parigi. Il problema, però, è che essi non sono affatto sufficienti.
Frank Bainimarama, presidente delle Isole Fiji e della Cop 23 di Bonn ©Simon Watts/Getty ImagesL’Accordo di Parigi indica infatti che si dovrà operare affinché la temperatura media globale sulla superficie delle terre emerse e degli oceani, alla fine del secolo, non superi di 2 gradi centigradi quella pre-industriale. Cercando di rimanere il più possibile vicini agli 1,5 gradi. Ora, sulla base dei calcoli effettuati dallo stesso governo francese in vista della conferenza del 2015, la traiettoria basata sugli Indc attuali ci porterebbe a +2,7 gradi. Stima considerata perfino ottimistica da numerose ong ambientaliste, che a più riprese hanno spiegato come si possano superare facilmente i 3 gradi.
“Everything has changed from the certain to the uncertain” in Fiji due to #ClimateChange. Watch to learn more. pic.twitter.com/LwsSqEfqN6
— COP23 (@COP23) 18 ottobre 2017
“A Parigi – ha osservato Lucille Dufour, della rete Réseau Action Climat all’emittente transalpina France 24 – sono state fornite delle linee guida, ma l’Accordo non è sufficientemente trasparente. A Bonn e Katowice occorrerà imprimere un’accelerazione e indicare cosa si dovrà fare in concreto”. Tanto più che le politiche annunciate da Donald Trump – in particolare la volontà di rilanciare la filiera del carbone – remeranno di fatto in senso contrario. Chi rimarrà nell’Accordo di Parigi (ovvero tutto il mondo tranne gli Stati Uniti, almeno per ora) dovrà perciò moltiplicare gli sforzi, anche per compensare le scelte di Washington.
La cop 23 di Bonn sarà presieduta dalle Isole Fiji, una delle nazioni più vulnerabili di fronte ai cambiamenti climatici“Per noi – ha aggiunto Bainimarama – la posta in palio è di importanza estrema. In particolare per gli amici delle Isole Marshall, Tuvalu e Kiribati, dal momento che è in gioco la stessa sopravvivenza di tali nazioni. Trasformare da teoria in pratica gli impegni assunti due anni fa è fondamentale. Ma non basterebbe neppure a salvarci: la sfida è infatti di convincere il mondo a spingersi oltre”.
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Sabato 13 novembre, un giorno più tardi del previsto, è terminata la Cop26. Luci e tante ombre nel Patto di Glasgow sul clima, indebolito dall’India.
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