Cop28

Possiamo archiviare la Cop28 in questo modo

Siamo tutti contenti del compromesso trovato alla Cop28 sulle parole, perché le parole sono importanti. Ma quando si passa all’azione?

Come si è aperta, così si è chiusa: con un colpo di teatro. Dopo aver sfruttato la giornata d’apertura per accendere i riflettori sulla Cop28 attraverso la promessa di finanziamenti al fondo loss and damage (poi finito nel dimenticatoio con tutta la finanza climatica) strappata a capi di stato e di governo, il presidente Sultan Ahmed al-Jaber ha deciso di sparare l’ultimo fuoco d’artificio sorprendendo nuovamente il mondo e approvando letteralmente in tre minuti il primo global stocktake, anticipando a inizio plenaria la “formula magica” e prendendosi la scena intervenendo dal podio, mentre la sala accoglieva la decisione lampo tra gli applausi e una standing ovation “improvvisata”.

I commenti, gli interventi, le critiche al testo? Quelle sono arrivate dopo. Dopo aver blindato il risultato e averlo consegnato alla stampa internazionale, a quel punto appagata e distratta. Questa premessa è fondamentale per capire l’impostazione che al-Jaber ha voluto dare all’intera conferenza sul clima. Con un nuovo hype studiato a tavolino che ha dettato la linea comunicativa da seguire grazie a qualche lacrima fatta scendere sul volto di delegati, osservatori e giornalisti col suo discorso di ringraziamento.

La Cop28 è finita
La Cop28 è finita, viva la Cop28! © Unfccc

Cosa dice il documento finale sulla mitigazione

Ora veniamo al contenuto. Il global stocktake è una sorta di bilancio per capire cosa è stato fatto e cosa c’è ancora da fare per centrare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima. Cioè per tentare di rimanere quanto più vicini agli 1,5 gradi Celsius di aumento della temperatura media globale considerando che, nonostante le promesse fatte e le parole pronunciate, la strada dell’azione è ancora lunga e complessa. La Cop28 aveva proprio questo compito: tirare una riga e capire come rendere il percorso più agevole e rapido.

Eravamo rimasti al duello tra phase out (eliminazione graduale) e phase down (riduzione graduale) dei combustibili fossili messo in scena dal gruppo di paesi più ambiziosi da una parte – come Unione europea e stati insulari – e i paesi arabi produttori di petrolio e gas dall’altra. A decine di ore di negoziati di distanza da quella bozza che è stata definita “inaccettabile” dalla ministra dell’Ambiente spagnola e co-leader della delegazione europea, Teresa Ribera, che ha costretto al-Jaber a rimboccarsi le maniche, la soluzione è stata trovata in una terza via.

Le parole della ministra spagnola Teresa Ribera dopo la prima bozza di documento finale

Come interpretare questa scelta lessicale

È stata adottata una nuova espressione frutto di un compromesso evidente: transitioning away. Ovvero, transizione dai combustibili fossili al fine di raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050, in linea con quanto affermato dalla scienza.

Un passaggio fondamentale che troviamo al paragrafo 28, lettera (d): Transitioning away from fossil fuels in energy systems, in a just, orderly and equitable manner, accelerating action in this critical decade, so as to achieve net zero by 2050 in keeping with the science.

A rispondere a questa domanda per LifeGate è stato direttamente Wopke Hoekstra, commissario europeo per l’Azione per il clima e alla guida dei negoziati della Cop28 per l’Europa: “Come Unione europea siamo venuti qui per certificare l’inizio della fine dei combustibili fossili, avevamo detto che avremmo portato a casa il phase out e, con altre parole, abbiamo ottenuto esattamente quello che volevamo. Da giurista posso assicurarvi che le due espressioni vogliono dire la stessa cosa”. Una conquista, dunque, ma che deve fare i conti con la realtà delle cose che, sempre dentro il documento finale della Cop28, sono elencate in modo preciso e disarmante.

Le parole del commissario Wopke Hoekstra dopo l’adozione del global stocktake

A che punto siamo nella lotta contro la crisi climatica, nei fatti

Dall’Accordo di Parigi le promesse di mitigazione – di riduzione delle emissioni di gas serra, nationally determined contribution – fatte dai paesi hanno portato a una revisione della proiezione di aumento della temperatura media globale, passata da 4 a 2,1-2,8 gradi Celsius. I paesi che hanno avanzato le promesse coprono l’87 per cento dell’economia globale in termini di prodotto interno lordo aggregato e questo dovrebbe portare a una riduzione delle emissioni globali pari al 2 per cento nel 2030, rispetto al livello registrato nel 2019. Peccato che la scienza ci dica che la riduzione dovrebbe essere pari al 43 per cento, per poi arrivare al 60 per cento entro il 2035 se vogliamo centrare l’obiettivo emissioni nette zero al 2050. Ma la realtà è che c’è uno scollamento anche tra le promesse e quanto fatto finora. Le ultime previsioni ci danno in rotta verso un aumento, e non una riduzione, della CO2 del 14 per cento da qui al 2030. Tutto questo è scritto nero su bianco sullo stesso documento approvato a Dubai. Parole, numeri, dati che denotano uno scollamento totale l’evidenza dei fatti e la narrazione costruita intorno ad essi.

La paura che non si faccia in tempo a rispettare il percorso serrato che ci ha mostrato la scienza per portare a zero le emissioni nette nel giro di un quarto di secolo – sì, mancano solo 26 anni al 2050 – è evidente anche da ciò che si legge prima e dopo il punto (d) che tanto ha appassionato gli addetti ai lavori.

Testo dell'ultima bozza alla Cop28 di Dubai
Testo dell’ultima bozza alla Cop28 di Dubai

Ad esempio al punto (b) del paragrafo 28 si può leggere: Accelerating efforts towards the phase-down of unabated coal power.

La stessa deludente frase raggiunta alla fine della Cop26 di Glasgow quando non si riuscì a “far fuori” – in modo graduale, s’intende – nemmeno il carbone unabated, cioè quello che causa emissioni dirette in atmosfera perché non sottoposto alla cattura e allo stoccaggio (Ccs) della CO2. E oggi, due anni dopo, non solo quest’azione debole è riproposta tale e quale, ma si esorta ad accelerare il phase down, perché non stiamo facendo manco quello.

Infine, come nella bozza “inaccettabile” è rimasto il punto (h): Phasing out inefficient fossil fuel subsidies that do not address energy poverty or just transitions, as soon as possible.  

Cioè mettere al bando i sussidi allo sviluppo di fonti fossili il cui consumo non sia finalizzato a contrastare la povertà energetica. Sia mai che si decida di investire in modo massiccio in fonti pulite.

Un passaggio che va a braccetto con il paragrafo 29, tanto breve quanto doloroso: Recognizes that transitional fuels can play a role in facilitating the energy transition while ensuring energy security.

Quali sono questi transitional fuels, questi carburanti per la transizione? Una domanda che per ora non trova risposta, anche se secondo Mauro Albrizio, responsabile dell’ufficio europeo di Legambiente a Bruxelles, il riferimento è chiaramente a gas e idrogeno proprio in quanto “fuels”, ovvero “combustibili”. Una versione che trova conferma anche nella reazione dell’inviato speciale per il clima degli Stati Uniti, John Kerry, che ci ha tenuto a precisare che i carburanti per la transizione possono giocare solo un ruolo marginale e che andrebbero usati solo per settori industriali ad alto impatto e se collegati a sistemi di cattura e stoccaggio.

Conclusione: dobbiamo trasformare l’abusata parola “azione” in azione

Un’analisi che ci porta inevitabilmente a un duplice giudizio su quanto avvenuto in queste due settimane a Dubai. Se a parole si è riusciti a dire e scrivere che l’era delle fonti fossili deve finire senza per questo essere tacciati di voler sovvertire il sistema capitalistico globale, dall’altra ci si è completamente dimenticati di mettere nero su bianco come farlo.

In chiusura merita una menzione speciale la stessa persona che ha rischiato di far saltare la presidenza di al-Jaber a Cop28 in corso: Mary Robinson, già presidente d’Irlanda e inviata speciale delle Nazioni Unite per il clima. “Se gli 1,5 gradi sono la nostra stella polare e la scienza la nostra bussola – ha commentato Robinson dopo la plenaria finale –, dobbiamo eliminare rapidamente tutti i combustibili fossili per tracciare il percorso verso un futuro degno d’esser vissuto” perché “ogni giorno di ritardo condanna milioni di persone a un mondo invivibile”.

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