Arredamento e Design

Creative mediterranean, creando resilienza attraverso la creatività di artigiani di 7 paesi

Creative mediterranean: in Algeria, Egitto, Giordania, Marocco, Libano, Palestina e Tunisia un maxi progetto per portare insieme artigiani e designer, e innovazione e tradizione.

La collezione di Creative mediterranean presentata a Parigi alla fiera Maison&Objet è frutto di due anni di lavoro di artigiani e designer di sette paesi del Mediterraneo – Algeria, Egitto, Giordania, Marocco, Libano, Palestina e Tunisia –, assieme a Unido, l’agenzia delle Nazioni unite per lo sviluppo industriale, e finanziato dalla Commissione europea e dalla Cooperazione italiana. L’obiettivo principale del progetto è creare nuove opportunità di lavoro rivitalizzando le tradizioni artigianali e culturali locali per realizzare prodotti più attuali e di gusto internazionale.

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Vasi in cemento e rame della collezione Creative mediterranean, design Abderrahim Kebbab Rouji, Algeria

Cos’è Creative mediterranean

La resilienza è la capacità di adattarsi al cambiamento, di trasformare le difficoltà in opportunità positive e “resilience through creativity” (la resilienza attraverso la creatività) è il filo conduttore del progetto Creative mediterranean, coordinato dal designer italiano Giulio Vinaccia. Riguarda sette paesi del sud del Mediterraneo per lo sviluppo di quattordici cluster, cioè di gruppi di industrie creative: dalla manifattura di gioielli algerina e libanese all’intaglio del legno marocchino, alla ceramica tunisina, al vetro soffiato egiziano. Perché la creatività è un meccanismo efficace di resilienza per affrontare situazioni di difficoltà come quelle che si verificano in un’area afflitta dalla minaccia del terrorismo – con tutte le ripercussioni politiche, sociali e economiche che questo comporta.

“Il progetto ha permesso a migliaia di imprese, di artigiani, di giovani, di donne, e designers in Algeria, Egitto, Giordania, Libano, Marocco, Palestina e Tunisia, di trasformare la loro storia, cultura, passione, creatività e resilienza in opportunità d’impiego e di reddito, ma anche di rivincita, riuscendo a superare drammatici conflitti e ostacoli”, racconta Gerardo Patacconi, Direttore del dipartimento per lo sviluppo dell’agribusiness di Unido e capo del progetto per lo sviluppo di cluster nelle industrie culturali e creative nell’area del sud Mediterraneo (Development of clusters in cultural and creative industries in the southern Mediterranean ).

Come è stato realizzato il progetto

A partire da una mappatura dei territori interessati dal progetto sono stati individuati i distretti produttivi più interessanti e caratteristici del loro patrimonio culturale, ed è poi stato creato il brand Creative mediterranean per la commercializzazione dei prodotti. In tutti i paesi coinvolti è in corso la realizzazione di design hub, veri e propri laboratori di sperimentazione e creatività in cui tradizione e cultura digitale convivono per creare nuovi design contemporanei con l’anima della tradizione artigianale.

Sono coinvolti musei, biblioteche ed enti culturali per un’iniziativa di rilancio che durerà tre anni e che, al momento, conta un team di trenta persone. Poiché si tratta di un progetto pilota dell’Unione europea, se darà i risultati auspicati, sarà ampliato. “È un lavoro di problem solving, cioè di analisi della situazione per trovare le migliori soluzioni e strategie di sviluppo economico, che solo alla fine diventa prodotto – sottolinea Vinaccia –. Si lavora più che altro sulla rottura di barriere culturali e politiche”.

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Le aspettative economiche

Dai quattordici cluster è previsto un turnover annuale di 3600 milioni di euro pari allo 0,2 per cento del prodotto interno lordo sommato dei sette paesi, di cui 400 milioni in export, cioè il 0,3 per cento totale; 55 istituzioni coinvolte tra università, istituzioni culturali, associazioni professionali ed enti governativi; 19.300 piccole imprese interessate, di cui 12.500 micro imprese pari al 64 per cento del totale, 6800 piccole e medie imprese pari al 35 per cento e 180 realtà industriali o semi-industriali; 280mila persone impiegate di cui il 56 per cento (155mila) nel cosiddetto ‘settore informale’, termine che indica l’economia non strutturata da norme legali o contrattuali.

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