Expo 2015

Dalla coca al cacao. Il caso (di successo) del Perù

Istituzioni, cooperative e aziende cioccolatiere, unite per raggiungere un risultato unico nel suo genere: cacao biologico al posto delle foglie di coca.

Uno scacco al mondo dei narcos. E una svolta per un intero Paese che oggi è uno dei principali produttori al mondo di cacao. Un percorso iniziato quasi 15 anni fa grazie anche alla presenza di due aziende italiane, Icam e Otto Chocolates, che hanno investito nella produzione di un cacao biologico e certificato Fair Trade. La coltivazione del cacao infatti è fonte di reddito per oltre 37 mila famiglie.

 

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Il frutto della pianta di cacao. © Getty Images

 

La produzione nazionale supera ormai le 71 mila tonnellate e le coltivazioni si estendono per 104 mila ettari, per la maggior parte nella parte bassa del versante orientale della Ande, tra i 200 e i 900 metri. Un risultato raggiunto grazie e soprattutto alle cooperative contadine, in particolare la Acopagro, organizzazione che ha lavorato per più di 20 anni seguendo i contadini attraverso una vera riconversione agricola, che permettesse dei ricavi dignitosi.

 

“Quando iniziammo 20 anni fa il prezzo della coca non era stabile. Questo ci permise di sostituirla con il cacao”, spiega Gonzalo Rios, direttore commerciale della cooperativa. “All’inizio eravamo in 27 agricoltori, oggi siamo più di 2 mila e coltiviamo anche frutta e altri prodotti”. Una piccola rivoluzione che ha permesso al Paese di creare una sostenibilità economica per questa pratica agricola, seguita da una certa dosa di sicurezza e di libertà nei confronti di un mercato illegale e spesso pericoloso.

“Abbiamo lavorato su più fronti”, spiega la ricetta del successo Rios. “Per prima cosa abbiamo offerto ai contadini un prodotto che avesse un mercato internazionale consolidato. Abbiamo poi riunito i contadini in cooperative, così da essere più forti in questo tipo di attività. C’è stato un trasferimento delle tecnologie così da ottimizzare la coltivazione del cacao, ed infine aprire l’accesso al microcredito”. Per iniziare a produrre e quindi vendere, il cacao ha bisogno di almeno tre anni, mentre la coca basta un anno. Per questo c’era la necessità di assicurare la sopravvivenza economica di chi riconvertiva la propria pratica.

 

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 Lavorazione della fave. © Icam

 

La formula ha avuto successo, tanto che “il cacao biologico rappresenta per noi una vera e propria ‘buona pratica’, in cui si uniscono buone pratiche agricole e profitto economico,” sottolinea Amora Carbajal Schumacher, direttrice generale dell’ufficio per il commercio estero del Perù. “Il particolare dinamismo del mercato del cacao biologico nel 2014 ha portato ad una crescita deell’80 per cento, mentre il 27 per cento del nostro cacao è prodotto proprio da cooperative”.

 

La ricetta ha un impatto positivo anche sull’ambiente. L’agricoltura abbandona i processi intensivi e con un forte utilizzo di anticrittogamici, passando ad un metodo volto alla coservazione delle risorse e alla riduzione della deforestazione. Secondo i dati forniti da Melissa Cornacchione, ricercatrice presso l’Ocex (Oficinas comerciales del Perù en el Exterior), e provenienti dall’Unodoc (Ufficio Onu per la lotta alla droga e alla criminalità), nel 2014 la superficie coltivata a coca si è ridotta del 14 per cento rispetto all’anno precedente.

 

La formula è collaudata. Chissà che altri Paesi sudamericani possano prendere esempio per una riconversione sostenibile in termini sociali, economici ed ambientali.

Immagine di copertina © Icam

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