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L’ex frontman dei Talking Heads rimpiange di non aver coinvolto alcuna donna tra i numerosi artisti che hanno collaborato al suo nuovo album American Utopia.
In occasione dell’uscita il 9 marzo del suo ultimo album, David Byrne ha fatto pubblica ammenda per non aver chiamato alcuna artista nella realizzazione del disco, a cui hanno invece partecipato 25 tra musicisti e produttori. Molti di questi sono amici e collaboratori di una vita, come Brian Eno, altri sono nuovi compagni di avventura. Ma, purtroppo, sono tutti uomini.
Punzecchiato sull’assenza artistica femminile da alcuni fan e addetti ai lavori, come la giornalista Lauren Martin o la performer Alicia Walter, la voce storica dei Talking Heads ha condiviso una profonda e autocritica riflessione attraverso il suo account Instagram.
David Byrne, tra gli artisti più ammirati e rispettati nell’ambiente della musica e della cultura per la spiccata sensibilità creativa e umanistica, ma anche per l’impegno nelle tematiche sociali e ambientali, scrive nel suo post che la questione della parità di genere conta molto per lui.
“La mancanza di rappresentanza è qualcosa di problematico e diffuso nella nostra industria. Rimpiango di non aver assunto donne e collaborato con loro in questo album – è assurdo, non è ciò che sono e certamente non combacia con il modo in cui ho lavorato in passato”, ha dichiarato il cantante, sottolineando come neanche negli attuali concerti dal vivo ci siano musiciste e sentendosi quindi “ancora più negligente”.
Per nulla irritato dalle frecciate sui social, Byrne ha piuttosto ringraziato chi lo ha criticato, mettendosi in discussione fino ad autodefinirsi parte del problema:
Sono felice di vivere in un momento in cui questa conversazione sta avendo luogo. È difficile realizzare che non importa quanta fatica si impieghi a spingere il mondo verso quella che si spera sia la giusta direzione, a volte si è parte del problema. Non ho mai pensato di poter essere ‘uno di quei ragazzi’, ma forse per certi versi lo sono. La vostra risposta serve da correttivo. Grazie.
American Utopia è il primo album da solista di David Byrne dopo 14 anni, l’ultimo da Love This Giant del 2012 realizzato in duo con St. Vincent. La presenza di artiste come quest’ultima, e come molte altre, è una costante nella carriera di Byrne, il che spiegherebbe questo suo “pentimento” a cuore aperto.
Quando nel 1974 ha incrociato sul suo cammino la grande bassista e femminista Tina Weymouth, le ha spalancato le porte dei Talking Heads. Nel 2010 ha condiviso con Fatboy Slim il concept album Here Lies Love, facendo emergere solo voci femminili (ventuno in tutto, tra cui Tori Amos, Cyndi Lauper, Róisín Murphy, Florence Welch, Shara Worden, Santigold e Sia, con l’unica presenza maschile di Steve Earle) e incentrandosi sulla figura della first lady delle Filippine Imelda Marcos. Tra le collaborazioni più recenti, invece, spicca quella con Anna Calvi.
La polemica arriva in concomitanza con la Giornata internazionale della donna, in un momento in cui l’industria musicale – in particolare quella britannica – sta cercando di migliorare l’uguaglianza di genere attraverso varie iniziative, per garantire che almeno la metà degli artisti presenti ai festival musicali siano donne.
La parità tra i sessi è solo uno dei temi in cui è impegnato David Byrne, che da circa due anni sta lavorando al progetto Reasons to be Cheerful, una piattaforma dove convergono piccole ma importanti storie di battaglie civili, iniziative sul cambiamento climatico, sulla salute pubblica e sui trasporti urbani come il bike sharing. Uno spiraglio di positività in questi tempi cupi, che ha ispirato American Utopia, dove buone notizie e diverse campagne dal basso potrebbero migliorare la vita delle persone, da condividere e magari replicare in altri contesti.
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