
D’ora in poi l’università di Oxford non investirà più nei combustibili fossili, ma solo nelle società che si impegnano seriamente per la decarbonizzazione.
Il movimento globale per disinvestire da petrolio e carbone ormai vale 5mila miliardi di dollari. Neanche Donald Trump può fermarlo.
A un anno di distanza dall’Accordo di Parigi, c’è un’ottima notizia per il Pianeta: gli asset di chi ha disinvestito (divest, in inglese) dai combustibili fossili hanno sfondato il tetto di 5mila miliardi di dollari. Stiamo parlando di 688 investitori istituzionali e 58.399 risparmiatori, in 76 paesi. Un insieme estremamente variegato, che comprende enti locali, organizzazioni filantropiche, banche, fondi pensione, università. Realtà molto diverse, che hanno deciso di usare i propri soldi come leva per cambiare le cose, rifiutandosi di finanziare le aziende che stanno distruggendo il Pianeta.
Queste cifre incoraggianti arrivano dal movimento 350.org, che cita un report pubblicato da Arabella Advisors, società di consulenza specializzata nella transizione a un sistema economico più rispettoso nei confronti dell’ambiente. Solo cinque anni fa, ricorda il report, dai campus delle università statunitensi iniziavano a diffondersi i primi appelli a disinvestire dai combustibili fossili. Probabilmente, all’epoca nessuno si aspettava che il movimento avrebbe fatto così tanta strada. Ma la sfida è stata raccolta dapprima da università e istituti religiosi, per poi coinvolgere anche fondi pensione, compagnie di assicurazione, banche.
L’Accordo di Parigi è stata la ciliegina sulla torta, dimostrando che ciascuno deve fare la propria parte per contenere il riscaldamento globale. Anche spostando i propri investimenti verso settori più puliti e rispettosi del benessere del pianeta. E – continuano gli studiosi – non basterà l’elezione di Donald Trump, che si sta circondando di petrolieri, per stravolgere questo trend. Ormai, quando di sceglie di disinvestire dai combustibili fossili, oltre alle motivazioni etiche contano anche quelle puramente economiche. Gli addetti ai lavori infatti ormai sanno che, a lungo andare, le riserve di combustibili fossili perderanno il proprio valore, trascinando nel baratro i capitali delle aziende e dei loro investitori.
Mentre crolla la fiducia in carbone e petrolio, gli investimenti nelle rinnovabili continuano a crescere, toccando i 329 miliardi di dollari. E non è tutto qui: una lunga serie di investitori e risparmiatori, che gestiscono complessivamente 1.300 miliardi di dollari, si sono impegnati a disinvestire dai combustibili fossili e re-investire gli stessi capitali in fonti alternative, efficienza energetica, tecnologie pulite e così via.
A questo obiettivo punta la campagna Divest Invest, sottoscritta da numerose istituzioni internazionali. E si contano già alcuni esempi illustri. Il Rockefeller Brothers Fund ha investito 10 milioni di euro per Mainstream Renewable Power, che finanzia impianti solari ed eolici in Sudafrica, Egitto, Senegal e Ghana. Il fondo pensione olandese Pensioenfonds Zorg en Welzijn si è impegnato a ritirare 187 miliardi di dollari dai comparti più inquinanti e, per contro, investirne più di 22 in soluzioni per il clima.
Nel frattempo, arrivano i primi studi che dimostrano come questa scelta paghi, anche dal punto di vista meramente finanziario.
Lo scorso anno ad esempio Msci ha pubblicato un’analisi che mette a confronto le performance del Msci Acwi Index (un indice di riferimento più ampio e generico) con quelle dell’Msci Acwi ex Fossil Fuels Index (l’indice che comprende le società che hanno disinvestito dai combustibili fossili). Risultato? Il secondo è cresciuto del 169,9% dal 2010 ad oggi, il primo solo del 162,11%. In altri termini, le aziende fossil free hanno ottenuto un ritorno medio annuale del 13 per cento, contro una media dell’11,8 per cento di chi ha seguito un approccio tradizionale.
Si concentra invece sul periodo 2013-2016 l’analisi della società di gestione del risparmio canadese Genus Asset Management, capofila della campagna Divest Invest. La conclusione è la stessa: chi ha abbandonato carbone e petrolio ha ottenuto ritorni migliori rispetto a quelli del benchmark di riferimento del fondo. Insomma, a ringraziare sono il pianeta e il portafogli.
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