Dojo Kun, l’etica del Karate Shotokan

I maestri giapponesi di karate usano ripetere la frase “karate no shugyo wa issho de aru”, che tradotta in italiano suona come “il karate si pratica tutta la vita”.

Quest’affermazione non deve essere interpretata nel senso che chi
inizia a esercitarsi in quest’arte marziale continuerà a
farlo “per” tutta la vita, ma in senso etico: un vero karateka
applica i principi appresi in ogni azione che compie.

Il karate praticato ad alti livelli, soprattutto secondo lo stile
tradizionale (Shotokan), non è uno sport da svolgere
saltuariamente o uno svago, ma una “via” che, seguendo
l’eredità del Bushido degli antichi Samurai, implica che chi
decide di intraprenderla rispetti alcuni precetti morali ben
definiti.

E’ proprio seguendo e applicando le poche ma chiare norme del Dojo
Kun, che si riesce a penetrare la vera essenza del karate e a
trarre dalla sua pratica gli insegnamenti più preziosi.
Così recita il dojo kun:

Hitotsu! Jinkaku kansei ni tsutomuru koto!
(cerca di perfezionare il carattere)

Hitotsu! makoto no michi o mamoru koto!
(segui la via della sincerità)

Hitotsu! doryoku no seishin o yashinau koto!
(rafforza instancabilmente lo spirito)

Hitotsu! reigi o omonzuru koto!
(osserva un comportamento impeccabile)

Hitotsu! kekki no yu o imashimuru koto!
(astieniti dalla violenza e acquisisci autocontrollo)

Cinque brevi imperativi che parlano di sincerità,
miglioramento del carattere, educazione, rispetto, non violenza.
Cinque frasi che risuonano nella mente del karateka quando svolge i
suoi esercizi d’allenamento come in ogni altro momento (lavoro,
studio, vita affettiva, svago) della sua vita. Cinque norme che, se
seguite con costanza, permettono al karateka di diventare un uomo
più forte, nello spirito e nel carattere prima ancora che
nel fisico e nelle tecniche di combattimento.

Danile Cerra

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