
La Cop26 è stata un appuntamento vitale per l’Africa che contribuisce in misura minima ai cambiamenti climatici, ma ne sopporta le conseguenze peggiori.
Metà delle emissioni del pianeta sono prodotte dal 10 per cento più ricco. Mentre a pagarne le conseguenze sono le frange più povere della popolazione.
Viene definita disuguaglianza climatica: mentre la parte più ricca del pianeta produce metà di tutte le emissioni, quella più povera – 3,5 miliardi di persone – ne è responsabile solo per il 10 per cento. Allo stesso tempo è proprio la parte più povera a dover subire, già oggi, le maggiori conseguenze dei cambiamenti climatici.
È quanto reso noto dall’ultimo rapporto realizzato e diffuso da Oxfam, proprio in occasione della Conferenza sul Clima di Parigi. “Disuguaglianza climatica” va a sfatare il mito che siano i Paesi emergenti ad essere i maggiori responsabili dei cambiamenti climatici. La relazione infatti riporta che “in media una persona che rientra nell’1 per cento più ricco della popolazione mondiale produce un’impronta di carbonio 175 volte superiore rispetto ad un cittadino che rientra nel 10 per cento più povero”.
“I cambiamenti climatici e la disuguaglianza economica sono indissolubilmente legati tra loro e insieme rappresentano una delle maggiori sfide del 21° secolo”, spiega Elisa Bacciotti, direttrice del dipartimento campagne di Oxfam Italia. “Parigi deve essere il punto di partenza per costruire un’economia più inclusiva e giusta, che tenga in considerazione non solo la parte più ricca della popolazione mondiale ma anche i 3,5 miliardi più poveri che, pur avendo minori responsabilità, sono i più esposti agli effetti dei cambiamenti climatici”.
Concetto espresso anche dalla Banca Mondiale, presente a Parigi alla Conferenza sul clima, che sottolinea come la lotta ai cambiamenti climatici debba passare attraverso la riduzione delle disuguaglianze. A Euronews Jim Yong Kim, presidente della Banca Mondiale, dichiara: “Crediamo che la lotta ai cambiamenti climatici sia profondamente connessa a due obiettivi: il primo è porre fine alla povertà estrema. Il secondo è la riduzione delle disuguaglianze concentrandosi sul redditto del 40 per cento dei Paesi in via di sviluppo. E non sarà possibile raggiungere questi due obiettivi se prima non si sconfiggeranno i cambiamenti climatici. Abbiamo appena pubblicato un rapporto nel quale sottolineiamo come: non aggredendo i cambiamenti climatici e non facendo del nostro meglio per ridurne gli effetti, altri 100 milioni di persone saranno ridotte in povertà entro il 2030. Il nostro obiettivo è invece eliminare la povertà estrema entro il 2030. In altre parole, se non combattiamo in modo deciso i cambiamenti climatici non sarà possibile fare nulla contro la povertà”.
Non si tratta solo di ridurre le emissioni di CO2, ma di modificare il concetto stesso di sviluppo e di crescita perseguito negli anni dalla parte più ricca della popolazione. Prendiamo ad esempio il dato diffuso dal rapporto che sottolinea come “le emissioni totali prodotte dalla metà più povera della popolazione cinese, circa 600 milioni di persone, sono solo un terzo delle emissioni prodotte dal 10 per cento più ricco negli Stati Uniti, circa 30 milioni di persone”.
È evidente che per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici non basti solamente un accordo vincolante sulla riduzione delle emissioni di CO2, ma serva rispolverare il concetto nato a Rio nel 1992, ormai più di 20 anni fa, del “chi inquina paga”. L’occasione è unica, un treno che non possiamo permetterci di perdere.
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