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Ethereum passa dal Proof-of-work al Proof-of-stake, un sistema più sostenibile che si baserà sulla partecipazione degli utenti nella blockchain stessa.
Ethereum è la seconda blockchain più diffusa al mondo. Sin dalla sua fondazione, nel 2013, il suo creatore Vitalik Buterin voleva renderla sostenibile, eliminando uno dei fattori che rendono il settore particolarmente inquinante. Ma era ancora troppo presto per riuscirci, così Ethereum vide la luce seguendo la scia di Bitcoin – la prima blockchain della storia – che usa un complesso sistema per verificare le transazioni economiche. Si chiama proof-of-work e prevede che alcuni “nodi” della rete abbiano il compito di verificare le transazioni, ricevendo della valuta in cambio. Per farlo, semplificando molto, devono risolvere complessi problemi matematici, in un processo che viene detto “mining”. La corsa all’oro crypto ha portato molte persone a investire sul mining, utilizzando soprattutto schede video da computer, che vengono usate per fare questi calcoli il più velocemente possibile. Tutto questo lavoro computazionale ha però un costo energetico: la sola Bitcoin, a inizio anno, consumava in un anno quanto l’intera Norvegia.
Era questo il punto che Buterin voleva risolvere e finalmente, quasi dieci anni dopo, sembra che sia arrivato il momento opportuno. Il 19 settembre Ethereum abbandonerà il proof-of-work in favore di un sistema chiamato proof-of-stake, in cui invece dei problemi matematici ci si baserà sulla partecipazione degli utenti nella blockchain stessa. Saranno quindi gli utenti che hanno investito in Ether (la criptovaluta di questa blockchain) a “garantire” per le transazioni in corso. Un evento epocale che viene chiamato Merge e sembra destinato a cambiare per sempre il settore, a partire da Ethereum. Se molti utenti e investitori si dicono contenti di poter finalmente usare la blockchain senza sensi di colpa ambientali, altri sono cauti o addirittura pronti a ribellarsi alla scelta. Attorno al mining, del resto, è sorto un business miliardario, che si sente minacciato dall’ascesa di questo sistema alternativo. Merge rischia di avere anche conseguenze culturali nel settore.
Il proof-of-work è un sistema “sporco” che però garantisce – secondo i suoi sostenitori – una certa parità tra utenti, perché chiunque può minare Bitcoin, Ether, e così via. Con il proof-of-stake, invece, il rischio è che ad avere il peso maggiore siano gli utenti con una maggiore partecipazione (la stake, appunto) nella blockchain. Insomma, le persone più ricche. Timori di certo legittimi, anche se la critica del nuovo sistema dimentica quanto il mining sia di fatto in mano a grandi e grandissimi player che hanno investito milioni nelle cosiddette mining rig, i mega-computer che risolvono problemi matematici. Insomma, oltre a essere inquinante, il proof-of-work non sembra nemmeno essere questo garante di eguaglianza tra i diversi nodi della blockchain. Il giorno del Merge si avvicina e c’è già chi teme le divisioni nel settore: più precisamente, il forking, quel processo con cui una blockchain viene di fatto “clonata” e modificata per accomodare le esigenze di alcuni utenti. E se la lobby del mining su Ethereum decidesse di abbandonare la nave clonando la blockchain per mantenere in uso il Proof-of-work? A quel punto, resterà da capire quante persone decideranno di rimanere su Ethereum, seguendo la strada per un settore crypto finalmente sostenibile.
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