
Diretto da Rubaiyat Hossain, il lungometraggio racconta la storia vera di una giovane operaia di una fabbrica tessile a Dacca che lotta per i propri diritti.
In memoria dei lavoratori tessili morti a Dakha nel 2013, torna la campagna di sensibilizzazione Fashion Revolution Day.
L’industria della moda è troppo spesso causa della morte di lavoratori sottopagati e maltrattati. L’ultima grande strage che ha coinvolto il settore dell’abbigliamento è stata quella di Rana Plaza in Bangladesh. Era il 24 aprile 2013 quando un palazzo di otto piani, che ospitava alcune fabbriche tessili di cui usufruivano numerosi marchi di moda al mondo, è crollato provocando la morte di 1133 operai.
Sono passati ormai due anni dallo scandalo e la discussione sullo sfruttamento di manodopera asiatica, a fronte di un basso costo di produzione, è ancora aperta. Così in occasione dell’anniversario della tragedia è stata lanciata una campagna internazionale per ricordare quelle morti e sensibilizzare il mondo intero sull’importanza di una moda responsabile.
La mobilitazione, giunta alla sua seconda edizione, si chiama Fashion Revolution Day e nasce in Gran Bretagna da un’idea di Carry Somers e Orsola De Castro, pionieri del fai trade e opinion leader riconosciute a livello internazionale in moda sostenibile.
Quest’anno, aderiranno all’iniziativa ben 66 Paesi tra cui l’Italia, dove la campagna è coordinata dalla stilista Marina Spadafora, con la collaborazione di Virginia Pignotti, Laura Tagini e Carlotta Grimani, e sostenuta da Altromercato.
“Fashion Revolution Day vuole essere il primo passo per la presa di coscienza di ciò che significa acquistare un capo d’abbigliamento, verso un futuro più etico e sostenibile per l’industria della moda, nel rispetto delle persone e dell’ambiente”, afferma la coordinatrice italiana.
Per aderire alla campagna è richiesto di indossare i propri abiti al contrario, con l’etichetta ben in vista, scattare una foto e postarla su Facebook e Twitter con l’hashtag #whomademyclothes, inviando l’immagine anche ai grandi marchi della moda e condividendo le loro risposte.
Tra i personaggi che hanno aderito all’iniziativa, ci sono il maestro Bernardo Bertolucci, il creativo Elio Fiorucci, il musicista Saturnino Celani, l’artista Domiziana Giordano, l’attore e regista Giampiero Judica, il tenore Noah Steward, il filmmaker Jordan Stone.
Una moda più etica è possibile solo se tutti iniziamo a consumare prodotti attenti ai diritti dei lavoratori e all’impatto ambientale. Facendoci portavoce di questo messaggio, potremmo riuscire ad evitare le ingiustizie dell’industria tessile occidentale nei confronti dei Paesi meno sviluppati. Pensiamoci.
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