Il Bangladesh nega il diritto allo studio ai giovani rifugiati rohingya

Una scuola per rifugiati rohingya del Bangladesh è stata chiusa dalle autorità locali. Che stanno restringendo sempre più i diritti della minoranza musulmana.

  1. La scuola era stata avviata con i fondi messi a disposizione dagli insegnanti e dalle famiglie di rifugiati rohingya più abbienti.
  2. Per le autorità del Bangladesh i rohingya non hanno diritto a creare scuole in modo autonomo nei loro campi profughi.
  3. La vita dei rifugiati rohingya in Bangladesh è molto difficile, tra discriminazioni, sfruttamento lavorativo e deportazioni.

Il Bangladesh ha chiuso un’importante scuola privata per rifugiati rohingya. L’istituto era stato creato da Mohib Ullah, un leader della minoranza musulmana del Myanmar ucciso lo scorso settembre, e finora aveva offerto a migliaia di studenti il percorso formativo della loro terra d’origine, nella speranza che un giorno possano tornarci. 

Secondo le autorità del Bangladesh però i rohingya non hanno diritto a creare scuole in modo autonomo nei loro campi profughi e già in passato diversi istituti hanno dovuto cessare le attività.

La scuola rohingya di Mohib Ullah

La scuola privata finita sotto i riflettori delle autorità del Bangladesh era stata costruita con i fondi messi a disposizione dagli insegnanti e dalle famiglie di rifugiati rohingya più abbienti. Nei campi profughi del Bangladesh ci sono circa 850mila rohingya e per quanto l’Unicef abbia messo in piedi diversi progetti scolastici, essi non riescono a raggiungere tutti anche perché sono perlopiù rivolti alla fascia d’età under 14. 

Per aumentare l’offerta formativa per i rifugiati, soprattutto quelli più grandi, nel tempo sono allora sorti istituti privati, come quello messo in piedi da Mohib Ullah. Quest’ultimo era tra i principali leader rohingya, prima di venire ucciso lo scorso settembre in un regolamento di conti all’interno della minoranza musulmana del Myanmar. La scuola è divenuta la più grande in un campo profughi rohingya e in questi anni ha ospitato migliaia di studenti, che hanno seguito il percorso di studi del Myanmar e non del Bangladesh, una scelta fatta in prospettiva di un loro ritorno imminente nella terra d’origine. Nelle scorse ore però le lezioni si sono interrotte.

Come hanno raccontato ad Al Jazeera alcuni studenti, agenti armati hanno fatto irruzione nell’istituto, sgomberandolo e sequestrando ambienti e attrezzature. Qualcosa di simile era già successo di recente nella Kayaphuri school, altro centro di formazione creato in un campo profughi. Una piega che secondo la comunità rohingya potrebbe avere un cattivo impatto sulla crescita dei giovani rifugiati, negando loro l’educazione e rendendoli più permeabili ai richiami della criminalità.

Le  discriminazioni in Bangladesh

Secondo un ufficiale del governo del Bangladesh, “non si può semplicemente aprire e gestire una scuola senza avere un permesso adeguato. È inaccettabile”. Una visione condivisa da un altro rappresentante governativo, secondo cui serve rispettare le pratiche burocratiche locali per aprire una scuola. Fatto sta che migliaia di studenti rohingya continuano a essere privati dell’educazione e questo rende l’autorganizzazione scolastica all’interno dei campi profughi l’unica tra le alternative possibili.

Una scuola Rohingya in Bangladesh
Una scuola rohingya in Bangladesh © Allison Joyce/Getty Images

In generale, la vita dei rifugiati rohingya in Bangladesh è molto difficile. Scappati dal Myanmar e dalle discriminazioni che subivano in patria, spesso nel paese confinante la situazione non è migliore. In migliaia sono stati deportati sull’isola di Bhasan Char, con organizzazioni non governative come Human Rights Watch che hanno denunciato la brutalità di questi trasferimenti, spesso avvenuti sotto ricatto. Gli altri vivono nei campi profughi circondati da filo spinato e spesso finiscono vittima dei caporali, che offrono loro lavoretti in nero all’insegna dello sfruttamento e di paghe irrisorie. La situazione igienica all’interno dei campi poi è critica, dal momento che le autorità del Bangladesh non hanno mai voluto investire soldi per quelli che nemmeno considerano rifugiati, non avendo firmato la convenzione Onu del 1951 sul tema. 

Sia il governo locale sia i rohingya sperano di poter tornare presto in patria, ma il tempo scorre senza che nulla cambi, se non la costante erosione dei loro diritti. Ultimo, quello allo studio.

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