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La musica del Mali di Fatoumata Diawara è un omaggio alle contaminazioni di stili e alla voce orgogliosa delle giovani donne africane.
Fatoumata Diawara è una giovane donna che spicca nel panorama della musica africana nel mondo. Di origini maliane, è un’artista eclettica e cittadina del mondo; un mix esplosivo di poliedrismo culturale ed artistico. Attrice, cantante e chitarrista, è considerata una delle più interessanti artiste africane contemporanee.
Le sue collaborazioni artistiche annoverano nomi di primo piano della musica internazionale: Bobby Womack e Herbie Hancock, il famoso pianista cubano Roberto Fonseca. Con Amadou e Mariam, Oumou Sangarè e Toumani Diabatè ha fondato un super gruppo per cantare in favore della pace nella sua Terra. E anche Flea e Damon Albarn si sono innamorati di lei, tanto da chiamarla a far parte dell’Africa Express, il gruppo che le ha permesso di condividere il palco con Sir Paul McCartney.
Ma ancora oggi, che abita a Parigi e collabora con artisti internazionali, Fatoumata Diawara rimane una donna del Mali. Le sue radici africane sono tanto forti da ritrovarsi in tutti i suoi album e in tutte le sue canzoni. Nella sua musica e nelle sue parole – in bambara, la lingua del Mali – tanto potenti come la voce che le pronuncia.
Se con il suo album d’esordio, Fatou uscito ormai sette anni fa, è entrata di diritto nelle scene della musica internazionale, il suo secondo album da solista – Fenfo – la conferma una delle cantanti più innovative della musica del Mali.
Fenfo significa “qualcosa da dire” in bambara. E di cose da dire, Fatoumata, ne ha davvero parecchie. La sua storia è una storia di perseveranza seppur in constante cambiamento.
La sua vita incomincia a essere itinerante sin da bambina: nata in Costa d’Avorio da genitori maliani, all’età di nove anni viene mandata a vivere con la zia a Bamako, capitale del Mali.
Presto viene a contatto con il cinema e recita in numerosi film. Nel 1997 è ingaggiata dal cineasta Cheick Oumar Sissoko per il ruolo di protagonista del film La Genèse, premio Un certain regard al Festival di Cannes del 1999. Nel 2001 prende parte al film Sia, the dream of the Python, la leggenda di una giovane ragazza che sfida la tradizione del proprio Paese, anticipando nella fiction quello che sarebbe successo nella vita reale.
Qualche tempo dopo incontra il direttore della Royal de Luxe, compagnia francese di teatro di strada, che la sprona a viaggiare, ad emanciparsi. Semplicemente a portare il proprio talento al di là dei confini di una Terra tanto magnifica quanto conservatrice, che la opprimeva come donna – così come lei stessa ha rivelato in un’intervista al quotidiano britannico Guardian.
Fatoumata si ribella ad un matrimonio forzato con un cugino e si unisce alla compagnia dove può esprimere tutta la sua arte musicale negli spettacoli di strada. Da qui l’incontro con Nick Gold della World Circuit, produttore del fenomeno Buena vista social club, che la guida nel suo primo album.
La musica, dunque, come espressione di libertà e autodeterminazione per intraprendere quella carriera musicale che era stata negata alla madre dal nonno di Fatou – lui stesso suonatore di kamel n’goni (un’arpa tradizionale). Così Fatou ha cominciato a suonare la chitarra, rompendo gli schemi tradizionali che lo considerano sconveniente per una ragazza.
La musica e il Mali sono gli elementi portanti nella sua vita e nella sua arte: anche il padre di Fatoumata, una volta trasferito in Costa d’Avorio, non ha mai smesso di organizzare musica e balli tradizionali per rivendicare le proprie origini.
Il Mali è impregnato di musica. Ma esiste un’evidente contraddizione. Nonostante sia impossibile per una donna maliana esibirsi in prima persona davanti a un pubblico, suonare uno strumento o scrivere canzoni, nei villaggi del Mali ogni rituale è scandito dalla musica e dal canto delle donne. È in questo senso, dunque, che le radici di Fatoumata restano in Africa.
Fatou è convinta che: “Attraverso la musica possiamo lentamente cambiare le cose ed è più facile per me perché non vivo in Mali. Se la mia generazione potesse pensare un po’ più a se stessa sarebbe meglio, specialmente per le ragazze”.
Ed è soprattutto per loro che canta. Per esempio, nella ballata Boloko affronta uno dei temi più delicati per le donne maliane, quello della mutilazione genitale femminile.
Ma non solo: nei suoi brani si occupa di tematiche controverse come le migrazioni sud-nord (Nterini), del peso delle tradizioni (Kanou Dan Ye) e in generale dell’identità africana che incoraggia ad emergere con la potenza che di merita. Nel brano Kokoro dice: “Sorella, smetti di pulire la tua pelle con sostanze chimiche per sembrare bianca, sorella mia, basta coprirti la testa per assomigliare agli arabi”.
Se la volete conoscere meglio, Fatoumata Diawara è attualmente impegnata in un tour che tocca anche l’Italia: dopo Venezia, l’artista africana si esibisce sul palco del Carroponte di Sesto San Giovanni (Milano) lunedì 23 luglio in un concerto organizzato dal festival multiculturale Milano il Mondo! e che rappresenta un omaggio alle contaminazioni di stili, ma soprattutto alla voce orgogliosa delle giovani donne africane.
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