Opinione

Per teatro, cinema e luoghi dell’arte “l’inverno è arrivato”

Il nuovo dpcm ha svuotato tutti i luoghi dell’arte: dai teatri ai cinema, dalle sale da concerto ai musei. Una riflessione dell’attrice Federica Fracassi.

Sono un’attrice e non ho, in queste righe, pretesa di verità.

La pandemia è un fatto planetario duro come la pietra, che ci ha trovati impreparati e di cui continuiamo a non avere unità di visione, di analisi, di controllo. Gli scienziati, i virologi procedono come è giusto che sia, per approssimazioni, e hanno bisogno di tempo.

L’umanità sta subendo un grave attacco, che non arriva senza essersi annunciato. Le pandemie (e questo almeno lo sappiamo e lo sapevamo) sono cicliche, ma sono anche, oggi, risposte alle nostre vite scellerate, al nostro disinteresse totale per la salute del pianeta e degli equilibri dei suoi ecosistemi, alla nostra megalomania che continua, erroneamente, a farci sentire padroni del mondo.

Tuttavia, nel frattempo, la vita (che contempla la morte) va avanti. E allora come reagire alle misure estreme dei nostri governi che, per salvaguardare “la vita”, “la salute” nostra e del nostro prossimo, ci impongono di vivere da morti? Che sacrifici stiamo facendo? Qual è la loro effettiva utilità? Che prezzo avrà in termini di tenuta sociale, di salvaguardia sì della salute, ma anche del pensiero, del futuro?

Non c’è una risposta univoca ed è questa la tragedia che stiamo vivendo: l’impossibilità di scegliere il bene senza fare il male.

È sempre più difficile esprimere dei dubbi senza sentirsi voci fuori dal coro, pericolosi negazionisti o ancor peggio egoisti egocentrati che pensano che il mondo giri intorno al loro ombelico. Ma non tutte le domande sono violente o distruttive, soprattutto quando è così difficile dare risposte.

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Gli spettatori del cinema persi dall’inizio dell’anno sono oltre 25 milioni © Pexels

Personalmente mi preoccupa l’idea che, oggi, la presunta difesa della nostra salute e quella del nostro prossimo implichino la condanna a morte di molte parti di lavoro e di mondo, tra cui spicca, per mancanza di logica, quella dei settori culturali, pari per gravità di ricaduta futura alla minorazione dell’istruzione. Per ciò che stiamo facendo ai nostri ragazzi non ho più parole. Se penso al mondo che gli stiamo consegnando, ai sacrifici che gli stiamo chiedendo, a quanto li stiamo accusando di essere “untori”, contingentando sempre più gli strumenti adeguati per reagire che dovremmo fornirgli a piene mani che sono innanzitutto la cultura, l’istruzione, il confronto con il gruppo.

Se devo parlare di cultura, che è il mio ambito, il mio lavoro, in questo momento di mutamento epocale teatro, musica, cinema sarebbero i possibili luoghi di sfogo di una sete esasperata di socialità e di confronto e insieme di alleggerimento del dolore e della pressione psicologica quotidiana. Sono luoghi di pensiero. Luoghi che abbiamo bisogno di frequentare. Un nutrimento non necessario? E da quando l’umanità è sopravvissuta solo grazie ad acqua e cibo? Questi luoghi, a mio parere, si occupano innanzitutto della nostra salute. Bisognerebbe pensarli così…ospedali, scuole e teatri.

Trovo destabilizzante credere che l’unica soluzione sia chiudere e per di più chiudere quei pochi spazi di racconto, di confronto, di comunità e di trasformazione del dolore che sono gli spazi dell’arte.

Quello che sta accadendo, che già stava accadendo prima del Covid-19 è l’erosione costante della socialità e questo mi angoscia, non tanto che si chiudano i teatri, ma che questo rientri in un’abitudine, in una dimenticanza, in una distrazione e distorsione rispetto alle più basilari necessità dell’uomo. Una costante deriva di autoreclusione e solipsismo che mina il concetto stesso di vita, perché la socialità è vita. Esacerbando questo trend si andrà inevitabilmente a colpire come sempre i più fragili, i più poveri, i meno istruiti.

Se, dopo aver analizzato il cuore del problema, il mio pensiero scende al livello della sopravvivenza economica mi viene da scrivere questo.  Il Covid-19 si è manifestato mesi or sono e in quel frangente sì, in totale emergenza, ognuno ha fatto ciò che poteva: abbiamo ubbidito al lockdown, già consci che avremmo vinto solo una breve battaglia. Poi siamo andati in vacanza, rimuovendo dal nostro orizzonte il fatto certo che “l’inverno sarebbe arrivato”. Perché il Governo e le Regioni non hanno continuato con il potenziamento delle strutture per le terapie intensive, con il reclutamento di personale sanitario ulteriore e con corsi di aggiornamento per nuove unità? Perché quella dei mezzi di trasporto resta un’inspiegabile debacle? Perché siamo punto e capo sentendoci appesi senza una strategia e una possibilità minima anche solo di ripensarci diversamente?

E quando sarà passato chi, cosa ci sarà ancora? Non si dovrebbero dimenticare i diritti degli altri malati (malattie rare, tumori, immunodeficienze). Non si dovrebbe cancellare il diritto al lavoro, senza garantire seriamente ammortizzatori sociali degni che in tanti casi nei mesi passati non sono arrivati (anche nel settore culturale spesso attori e maestranze …gli intermittenti…sono stati lasciati indietro. I piccoli teatri e i teatri privati forse non riapriranno più).

Schiacciando i deboli non possiamo ignorare il rischio di malessere sociale che si sta formando: la rabbia, i suicidi, la violenza, la paura.

Dovremmo riuscire a pensare a tutti i morti. Sono tanti. E non solo di Covid-19.

 

Federica Fracassi, teatro, cinema, covid-19
Federica Fracassi © Fabio Lovino/federicafracassi.it

Federica Fracassi è un’attrice teatrale e cinematografica italiana. Nel 2004 fonda a Milano, insieme a Renzo Martinelli, la compagnia di produzione Teatro i e gestisce l’omonimo teatro indipendente, la cui proposta culturale ha ricevuto, in questi anni, numerosi premi a livello nazionale e internazionale. Esordisce al cinema nel 2010, lavorando tra gli altri con Gabriele Salvatores, Marco Bellocchio, Francesca Archibugi, Carlo Verdone, Paolo Genovese. Nel 2019 è una delle protagoniste della serie tv Luna Nera, prodotta da Fandango e Netflix.

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