Cosa significano le elezioni americane 2020 per gli altri paesi? Abbiamo raccolto alcune reazioni da tutto il mondo sui temi di sostenibilità sociale, ambientale ed economica.
Il Gambia ha un nuovo presidente. Si chiama Adama Barrow e succederà alla guida del paese dopo 22 anni di potere ininterrotto di Yahya Jammeh.
Aveva detto “guiderò il paese per un miliardo di anni” invece dopo “soli” 22 anni, il presidente del Gambia Yahya Jammeh ha riconosciuto la sconfitta elettorale contro lo sfidante Adama Barrow e si prepara a lasciare il potere.
“Il popolo ha deciso che devo fare un passo indietro”, ha dichiarato Jammeh in un messaggio alla nazione trasmesso dalla televisione, alla guida del piccolo paese africano da quando, 29enne, salì potere nel 1994 con un colpo di stato militare. Il leader gambiano ha riconosciuto la “chiara vittoria” del candidato di opposizione, al termine di una notte scandita dal conteggio dei voti, che molti hanno seguito alla radio in un clima di entusiasmo misto a timore.
Celebrations are taking place in The Gambia as opposition candidate Adama Barrow defeated President Yahya Jammeh.
Jammeh ruled for 22yrs. pic.twitter.com/qlvo0T9JqV
— AJ+ (@ajplus) 2 dicembre 2016
La paura di molti – smentita dalla dichiarazione di poche ore fa del presidente – era legata al fatto che quest’ultimo potesse rifiutarsi di riconoscere il risultato delle urne, alimentando disordini tra i sostenitori delle due parti. Invece, l’annuncio dei risultati definitivi – oltre il 45 per cento dei consensi per lo sfidante contro il 36 per cento circa del presidente uscente – è stato accolto con caroselli e gente in piazza nella capitale Banjul.
Nei 22 anni in cui ha guidato il Gambia con il pugno di ferro, il dittatore africano si è conquistato la fama di leader tra i più eccentrici e spietati del continente. In più di un’occasione ha dichiarato di possedere poteri taumaturgici che guariscono dall’Aids e dall’infertilità, e ha dichiarato da un giorno all’altro il paese “una nazione islamica”. Ultraconservatore e strenuo repressore di oppositori politici, attivisti, gay e giornalisti, Jammeh lascia un’economia disastrata e uno stato che – sebbene le piccole dimensioni e una popolazione di appena due milioni di persone – figura tra i primi nelle liste di quelli da cui i giovani africani cercano di fuggire.
She was Gambia’s star goalkeeper. But she died as yet another drowned migrant in the Mediterranean. https://t.co/iPxu4Cg5Dt #RIPFatima pic.twitter.com/LZyMh2FmNw
— Wilkes Democrats (@WilkesDemocrats) 4 novembre 2016
Fino alla fine, Jammeh ha represso e incarcerato i membri del Partito democratico unito di opposizione che però ha potuto contare su un forte sostegno della popolazione e, dal punto di vista economico, dei gambiani all’estero.
La sua principale intuizione è stata quella di mettere d’accordo tutte le formazioni di opposizione ad esprimersi con un solo candidato. Si è rivelata la mossa vincente di quello che oggi il quotidiano americano New York Times definisce “un presidente per caso”, divenuto lo sfidante prescelto dopo che altri sono morti o sono stati incarcerati. In campagna elettorale ha promesso di voler lavorare con la comunità internazionale per cercare di ripristinare l’economia e la sanità, di voler favorire l’accesso all’educazione base e riportare il Gambia tra i paesi che rispettano i diritti umani.
Il timore di molti, ora, è che nei due mesi che mancano alla sua destituzione e all’insediamento di Barrow, il presidente uscente possa escogitare qualcosa per non rispettare il voto popolare. Preoccupazioni che tuttavia non devono offuscare quanto accaduto nel piccolo paese, incuneato nel Senegal se non per il suo affaccio sull’oceano Atlantico. Si tratta infatti un evento che va in direzione contraria a quanto solitamente e, sempre più spesso, accade in buona parte dell’Africa dove i leader al potere da decenni, tentano di modificare la Costituzione per estendere il mandato o , in alternativa, indicono elezioni quasi sempre solo per vincerle.
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