Inauguration day

Come il mondo che lotta per un futuro sostenibile ha guardato alle elezioni americane

Cosa significano le elezioni americane 2020 per gli altri paesi? Abbiamo raccolto alcune reazioni da tutto il mondo sui temi di sostenibilità sociale, ambientale ed economica.

Sconvolgenti, epocali, le più importanti di questa generazione. Le elezioni presidenziali 2020 degli Stati Uniti sono state definite dai commentatori di tutto lo spettro politico come un momento determinante per il paese. Ma guardando oltre i confini americani, potrebbe essere detto lo stesso. Dopo la vittoria di Joe Biden, abbiamo raccolto alcune reazioni provenienti da tutto il mondo per avere un’idea di come i diversi paesi saranno e sarebbero stati influenzati da questo ciclo elettorale senza precedenti. In particolare, analizziamo alcuni temi centrali nell’ambito della sostenibilità sociale, ambientale ed economica. Tra le questioni principali spiccano i diritti umani, la cooperazione, la protezione delle risorse naturali e i cambiamenti climatici, per le quali le dinamiche locali e globali sono intrecciate inestricabilmente.

Le elezioni USA 2020 seguite da Pechino, Cina
Le elezioni USA 2020 seguite da Pechino, Cina © Kevin Frayer/Getty Images

Elezioni Usa 2020, alcune reazioni da tutto il mondo

Asia orientale

Di Mara Budgen da Tokyo, Giappone

“La rivalità tra Cina e Stati Uniti plasmerà il ventunesimo secolo”, titola il Financial Times. L’equilibrio tra le due superpotenze è ora in un momento particolarmente delicato: il presidente in carica Donald Trump ha finora adottato un approccio impudente nei confronti di Pechino, utilizzando strumenti politici come la guerra commerciale e le sanzioni contro le violazioni dei diritti umani, ma il sostegno a una posizione più dura nei confronti della Cina è bipartisan. Le relazioni potrebbero rimanere tese anche sotto l’amministrazione Biden, anche se si vedrà probabilmente uno spostamento verso la cooperazione su questioni chiave come i cambiamenti climatici e la pandemia di coronavirus.

La tensione di queste elezioni si fa sentire soprattutto nell’Asia orientale, dove le relazioni con Cina e Stati Uniti sono fondamentali per il Giappone, la Corea del Nord e del Sud e il sud-est asiatico. Inoltre, in quest’area sono forti i timori legati ai fragili equilibri regionali: le preoccupazioni non sono limitate alle questioni commerciali ed economiche, al contrario, è sempre presente la minaccia di un’escalation militare sulle dispute nel Mare Cinese Meridionale e nella Corea del Nord.

Un commerciante di valuta estera giapponese monitora i risultati delle elezioni USA
Un commerciante di valuta estera giapponese monitora i risultati delle elezioni USA © Carl Court / Getty Images

Se da un lato il Giappone ha avuto un discreto successo nei suoi rapporti con l’America di Trump (ricordiamo quando quattro anni fa l’ex primo ministro Shinzo Abe fu il primo leader mondiale a incontrare l’allora neo-presidente), dall’altro in generale le nazioni dell’Asia del Pacifico hanno visto svanire il ruolo geopolitico chiave che avevano assunto con la politica “Pivot to Asia” promossa da Obama, anche se l’amministrazione Trump è rimasta a sostegno, nel complesso, dei legami bilaterali e multilaterali. Escludendo ovviamente il rifiuto dell’accordo commerciale Trans-pacific partnership (Tpp).

Sotto Biden si tornerà a un modo di fare politica più convenzionale e prevedibile, uno stile generalmente preferito dai diplomatici. Le nazioni democratiche della regione verranno probabilmente spronate dal suo impegno a difendere le libertà politiche e i diritti umani e a raggiungere le emissioni zero entro il 2050, un obiettivo condiviso da Giappone e Corea del Sud. Inoltre diversi stati nella regione potrebbero trarre vantaggio dallo spostamento della produzione (e quindi di posti di lavoro) dalla Cina verso altri paesi, una priorità che Biden condivide con Trump.

Dall’altra parte, un secondo mandato Trump avrebbe comportato l’intensificazione di una politica estera irregolare e imprevedibile, e inasprito la rivalità internazionale che avrebbe plasmato le generazioni a venire.

Imitatori vestiti da Donald Trump e dal leader nordcoreano Kim Jong Un a un raduno della campagna Trump a Las Vegas nel febbraio 2020
Imitatori vestiti da Donald Trump e dal leader nordcoreano Kim Jong Un a un raduno della campagna Trump a Las Vegas nel febbraio 2020 © Mario Tama / Getty Images

Africa orientale

Di Godfrey Olukya da Kampala, Uganda

La maggior parte degli africani si è detta a favore di Biden e ha augurato a Trump una grande sconfitta alle elezioni. Perché? Quando Trump è diventato presidente quattro anni fa, molti media hanno citato il suo discorso inaugurale, in cui diceva che non avrebbe tollerato dittatori o leader africani che hanno mantenuto il potere anche molto dopo i limiti prestabiliti. Questi commenti hanno fatto breccia in molti partiti e organizzazioni politiche dell’opposizione.

Ma Trump non è stato all’altezza delle aspettative create e il suo atteggiamento nei confronti dei dittatori e dei presidenti di lunga data in Africa non è stato duro nemmeno una volta. Avrebbe definito il presidente egiziano Abdel-Fattah el-Sisi il suo “dittatore preferito” e in Egitto il settimanale statale Al Ahram ha scritto che “Indipendentemente dal risultato, gli Stati Uniti potrebbero cadere nei disordini e il loro status sul palcoscenico mondiale potrebbe diminuire sensibilmente”.

Non sorprende che il presidente dell’Uganda Yoweri Museveni, al potere da oltre trent’anni, un tempo si sia riferito a Trump come “il miglior presidente del mondo”. “Per la maggior parte degli africani politicamente oppressi, Trump è stato motivo di imbarazzo. Ha collaborato senza ritegno con i dittatori africani”, ha affermato Francis Mwana Mbooka, un politico dell’opposizione nella Repubblica Democratica del Congo.

Il presidente egiziano Abdel-Fattah el-Sisi a un incontro con Donald Trump
Il presidente egiziano Abdel-Fattah el-Sisi a un incontro con Donald Trump © di Alex Wong / Getty Images

Durante la sua leadership, il candidato repubblicano non è riuscito a elaborare alcuna politica intesa a favorire la popolazione africana. Ci sono state anche volte in cui ha ridicolizzato gli africani, alimentando sentimenti negativi nei suoi confronti. Inoltre, molti africani in passato hanno utilizzato tutti i mezzi possibili (legali e illegali) per migrare negli Stati Uniti alla ricerca di una vita migliore, ma Trump ha messo in atto misure rigorose per frenare tali movimenti.

Ne consegue, quindi, che la maggior parte dei cittadini africani ha sostenuto Biden, mentre alcuni partiti e governi al potere sono rimasti pro-Trump. Il parere generale è che con il rappresentante democratico le relazioni internazionali si normalizzeranno, al contrario sotto i repubblicani la politica estera sarebbe stata più nazionalista e caotica. Nel complesso, ciò che è emerso nel corso di queste elezioni lascia molto a desiderare e molti africani hanno espresso i loro timori per la democrazia americana, specialmente dopo lo shock provocato dalle affermazioni di Trump riguardo al suo rifiuto di impegnarsi a cedere il potere in caso di sconfitta.

“Queste elezioni hanno rivelato che gli Stati Uniti non sono il leader mondiale della democrazia, come spesso sostengono di essere“, ha affermato il pastore Solomon Male, un rinomato leader religioso ugandese. Male sostiene inoltre che ciò che è accaduto nel corso della campagna elettorale e il comportamento dei candidati, in particolare di Trump, sarebbe normale se avvenisse in Africa, ma è ridicolo nel contesto del paese difensore dei valori democratici.

Bobi Wine è stato arrestato dopo essere stato confermato come candidato alle elezioni del prossimo anno in Uganda
Lo stesso giorno delle elezioni americane, il 3 novembre, il politico dell’opposizione Bobi Wine è stato arrestato dopo essere stato confermato come candidato alle elezioni del prossimo anno in Uganda © Luke Dray / Getty Images

Africa meridionale

Di Mike Mwenda da Lusaka, Zambia

Gli africani rimangono scettici se la prossima presidenza produrrà cambiamenti pratici e fondamentali nella politica estera degli Stati Uniti verso il continente, anche in aree come gli obiettivi di sviluppo sostenibile e i cambiamenti climatici.

Un rapporto dell’Unfccc dimostra con prove sempre più convincenti che i cambiamenti climatici stanno contribuendo all’innalzamento delle temperature nell’Africa meridionale, le temperature più alte minacciano la salute e la sicurezza umana, la sicurezza alimentare e idrica e lo sviluppo socio-economico nella zona. La regione si sta riscaldando a una velocità impressionante, pari al doppio del tasso globale secondo un recente studio della ong Save the Children e molti paesi sono stati colpiti da molteplici fenomeni estremi. Il Mozambico per esempio è stato attraversato da due cicloni tropicali da record in una sola stagione: Kenneth e Idai sono stati i cicloni più forti che abbiano mai colpito il continente africano e hanno provocato danni anche in parti dello Zimbabwe e del Malawi nel marzo 2019. Inoltre, il rapporto evidenzia che decine di stati dell’Africa orientale e meridionale stanno vivendo continue emergenze dovute alle condizioni meteorologiche, seguite sempre da acute crisi alimentari.

Il ciclone Idai ha causato devastazione in tutto il Mozambico
Il ciclone Idai ha causato devastazione in tutto il Mozambico © Andrew Renneisen/Getty Images

L’Africa non dispone di risorse adeguate per mitigare e adattarsi al riscaldamento globale e ha già subìto gli effetti del negazionismo di Trump sui cambiamenti climatici, un approccio che ha portato gli Stati Uniti a ritirarsi formalmente dall’Accordo di Parigi. Trump aveva annunciato l’uscita degli Stati Uniti nel giugno 2017, ma i regolamenti delle Nazioni Unite hanno fatto sì che la sua decisione potesse entrare in vigore solo un giorno dopo le elezioni. Pertanto, gli Stati Uniti sono ad oggi l’unico Paese al mondo ad aver lasciato l’accordo che mira a tenere sotto controllo l’aumento delle temperature globali.

Tutto ciò cambierà, però, con la vittoria di Biden, che si è impegnato a far rientrare gli Stati Uniti nell’accordo subito dopo il suo insediamento. L’eredità negazionista di Trump, che porta a chiederci se sappia anche solo cosa siano i cambiamenti climatici, sarà relegata al passato.

Europa

Di Patrick Bracelli da Londra, Regno Unito

Il Regno Unito e l’Europa hanno, prevedibilmente, guardato in modo diverso alle elezioni negli Stati Uniti. L’approccio nazionalista ed eccezionalista di Trump ha trovato molta più approvazione tra i sostenitori della Brexit che nella comunità europea, mentre le relazioni Usa-Ue si sono deteriorate notevolmente negli ultimi quattro anni.

Di fronte allo spettro incombente di una Brexit senza accordo, il primo ministro britannico Boris Johnson riponeva le sue speranze nella rielezione di Trump, in vista di un proseguimento dei colloqui commerciali con l’alleato transatlantico. È stato persino riferito che Johnson abbia ritardato alcune decisioni chiave sulla Brexit fino a dopo la conferma del risultato delle elezioni statunitensi.

Mentre Trump ha ripetutamente espresso un forte sentimento pro-Brexit, Biden considera la scelta inglese come un errore politico ed è molto meno probabile che darà la priorità a un accordo commerciale con il Regno Unito nei primi mesi della sua presidenza. Tuttavia, la vittoria di Biden potrebbe portare a un allontanamento dal campanilismo e dall’isolazionismo, che potrebbe a sua volta aiutare il Regno Unito a uscire da un lungo periodo di concentrazione su un unico problema, e consentire ai suoi cittadini e alla classe politica di dedicare maggiore attenzione ad altri temi sociali e ambientali.

Invece di accelerare i negoziati commerciali con il Regno Unito, l’amministrazione Biden si concentrerà più probabilmente sulla ricostruzione di un forte rapporto con l’Unione Europea, soprattutto perché la cooperazione con quest’ultima è fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi climatici. Biden vuole che gli Stati Uniti riprendano il loro ruolo di leader globale: l’Unione Europea ha fissato il 2050 come scadenza per le emissioni zero, e anche la Cina mira a fare lo stesso entro il 2060, gli Stati Uniti dovranno quindi seguire l’esempio se intendono essere presi sul serio sul palcoscenico internazionale.

Un secondo mandato Trump, invece, avrebbe reso una tale decisione estremamente improbabile e avrebbe provocato un ulteriore deterioramento delle relazioni tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti. Ciò avrebbe incoraggiato anche i leader populisti e di estrema destra nel vecchio continente e causato ulteriori perdite per cittadini e le imprese europee.

Una attivista a Londra esorta i cittadini statunitensi residenti all'estero a votare alle elezioni
Una attivista a Londra esorta i cittadini statunitensi residenti all’estero a votare alle elezioni © Leon Neal / Getty Images

America del Sud

Di Laura Brown da San Paolo, Brasile

Le elezioni americane influenzeranno inevitabilmente le politiche e gli affari esteri del Sudamerica. Le relazioni con il paese restano vitali per la politica sia interna che globale, in particolare riguardo a temi come l’immigrazione, il commercio, i cambiamenti climatici e i diritti umani. Queste relazioni sono state tese nell’ultimo mandato a causa dell’opposizione di Trump all’immigrazione proveniente dalla regione e dell’intervento americano durante la rivolta politica del Venezuela del 2019 contro il regime di sinistra di Nicolás Maduro. Il Venezuela in particolare sta già affrontando divieti commerciali e sanzioni che hanno aggravato sensibilmente la recessione che il paese sta affrontando.

In Brasile il presidente Jair Bolsonaro ha indicato chiaramente che la sua priorità negli affari esteri è di stringere legami più profondi con gli Stati Uniti. Inoltre ha adottato un approccio molto simile a quello di Trump su questioni quali l’ambiente, i cambiamenti climatici, i diritti umani e la Covid-19.

Con Biden alla presidenza i rapporti potrebbero diventare più tesi, in particolare riguardo alle questioni ambientali e sui diritti umani. Con la sua elezione, è probabile che il candidato democratico eserciterà delle pressioni sul Brasile affinché quest’ultimo protegga la foresta pluviale amazzonica, è inoltre probabile un aumento delle normative per le esportazioni brasiliane di prodotti agricoli che hanno un forte impatto sull’ambiente e su cui i due paesi sono in competizione. Il vicepresidente del Brasile Hamilton Mourão ha già risposto all’appello di Biden di cambiare le leggi sulla protezione dell’Amazzonia affermando che il paese non cambierà rotta per quanto riguarda tali politiche, indipendentemente dai risultati delle elezioni.

Il presidente brasiliano Jair Bolsonaro incontra Donald Trump alla Casa Bianca
Il presidente brasiliano Jair Bolsonaro incontra Donald Trump alla Casa Bianca © Chris Kleponis-Pool/Getty Images

Se invece Trump fosse stato rieletto, sarebbero rimaste salde le relazioni tra il presidente americano e Bolsonaro. I due paesi avevano già firmato un accordo di cooperazione militare e si sono impegnati a lavorare insieme per promuovere lo sviluppo del settore privato in Amazzonia.

Se da un lato è improbabile che i consulenti per la politica estera di Biden possano sostenere molte delle politiche di Bolsonaro, restano in dubbio le future relazioni tra il Sud America e gli Stati Uniti, soprattutto considerando che questi ultimi sono ora concentrati principalmente sul contenimento della crescente influenza di Pechino. Qualsiasi presidente fosse stato eletto, gli Stati Uniti avrebbero continuato ad avere un forte interesse nel processo di offerta per costruire infrastrutture di telecomunicazioni 5G (in competizione con il gigante cinese Huawei), che in Brasile dovrebbe iniziare nel 2021. In ogni caso, questi risultati elettorali sono stati fondamentali per comprendere la direzione delle relazioni future tra Stati Uniti e Sud America.

Una fila di abitanti dell’America Centrale in viaggio attraverso il Messico verso il confine americano per chiedere asilo nel 2018
Una fila di abitanti dell’America Centrale in viaggio attraverso il Messico verso il confine americano per chiedere asilo nel 2018 © David McNew / Getty Images

America Centrale

Di Lise Josefsen Hermann da Tegucigalpa, Honduras

Nei quattro anni di presidenza, Trump ha visitato l’America Latina solo una volta per partecipare al vertice del G20 a Buenos Aires nel 2018, mentre il suo predecessore Barack Obama ha effettuato quindici visite nella regione (distribuite su due mandati). Ciononostante le relazioni con gli Stati Uniti stanno molto a cuore ai latinoamericani, e destano anche non poche preoccupazioni. Per i leader come Bolsonaro e il presidente colombiano Iván Duque, che hanno apertamente sostenuto Trump durante le elezioni, il presidente uscente è un punto di riferimento importante e la sua sconfitta potrebbe portare instabilità nei loro paesi, soprattutto nelle relazioni brasiliane con l’estero.

In America Centrale il sogno americano è ancora fortemente vivo e spinge migliaia di persone ogni anno a viaggiare verso nord alla ricerca di un futuro lontano dal proprio paese d’origine, spesso alle prese con corruzione, criminalità, l’impatto dei cambiamenti climatici e il difficile accesso a istruzione e lavoro. “Trump ha compiuto azioni discriminatorie molto dure nei confronti degli immigrati“, affermano gli osservatori de El Salvador e dell’Honduras che stanno seguendo attentamente le elezioni statunitensi. “Siamo preoccupati per i nostri familiari negli Stati Uniti. E dipendiamo dal denaro che ci inviano”, aggiungono. La stragrande maggioranza, quindi, sperava in una vittoria di Biden.

Sostenitrici cubane di Joe Biden a Miami, in Florida, USA
Sostenitrici cubane di Joe Biden a Miami, in Florida, USA © Chip Somodevilla / Getty Images

A differenza dell’approccio di Trump, la risposta politica del candidato democratico alla massiccia migrazione consisterà in sostegni economici ai paesi dell’America Centrale. In generale, le nazioni a guida socialista come Cuba e il Nicaragua si aspettano che Biden possa offrire un ammorbidimento delle relazioni ora ostili, attraverso dei negoziati che potrebbero prendere il posto del rigido regime di sanzioni di Trump.

Cuba, in particolare, è stata direttamente chiamata in causa nelle campagne elettorali di entrambi i candidati. Trump ha promesso di continuare con la sua linea dura, mentre Biden ha parlato di una “nuova politica” per ristabilire le relazioni diplomatiche avviate da Obama.

Una prospettiva dal mondo della finanza sostenibile

Di Joslyn Chittilapally da Mumbai, India

Una delle conseguenze più importanti del recente mandato Trump, durante il quale gli Stati Uniti si sono ritirati dall’accordo di Parigi, è stata che il mondo ha smesso di guardare al paese come guida nelle questioni relative ai cambiamenti climatici e alla finanza sostenibile.

L’Unione Europea sembra aver preso il suo posto grazie al suo obiettivo di zero emissioni nette nel 2050, al Green Deal, alle misure di ripresa verde, alle nuove normative sulla tassazione e sulla cooperazione internazionale, e soprattutto grazie ai sostegni ai paesi in via di sviluppo verso una transizione più verde.

Guardando a est, i paesi asiatici come Cina, Corea del Sud e Giappone hanno annunciato i propri obiettivi di emissioni zero, le Filippine hanno promesso di bloccare lo sviluppo nel settore del carbone e la Thailandia ridurrà il carbone al 5 per cento delle sue fonti energetiche entro il 2030. Anche l’India continua a fare passi significativi nella sua transizione verso l’energia pulita ponendosi degli obiettivi molto ambiziosi.

Anche all’interno degli Stati Uniti molti enti non federali tra cui stati, città e imprese, lavorano da anni per cercare di adempiere agli impegni presi con l’Accordo di Parigi, senza il supporto dell’amministrazione Trump. Ad esempio, la California punta ad avere elettricità a emissioni zero entro il 2045 e a produrre tutte le nuove automobili e i minivan a emissioni zero entro il 2035. La Carolina del Nord invece ha pubblicato un piano per l’energia pulita volto a raggiungere le emissioni zero entro il 2050.

Anche l’interesse per gli investimenti ambientali, sociali e di governance (Esg) sta crescendo indipendentemente da chi siede alla Casa Bianca, come confermato dall’ultimo rapporto Broadridge data and analytics, che ha rilevato che i flussi netti verso i fondi responsabili a lungo termine degli Stati Uniti sono quadruplicati durante il 2019 raggiungendo i venti miliardi di dollari, con un’ulteriore accelerazione nella prima metà del 2020.

Una protesta contro la decisione di Donald Trump di ritirare gli Stati Uniti dall'accordo di Parigi
Una protesta contro la decisione di Donald Trump di ritirare gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi © Sean Gallup / Getty Images

La vittoria di Biden segna una vera svolta sulle tematiche ambientali, i suoi piani per un Green new deal da duemila miliardi di dollari e il suo impegno a raggiungere il cento per cento di energia pulita e emissioni zero non oltre il 2050 porteranno a cambiamenti sistemici su larga scala. Inoltre la sua promessa di rientrare nell’accordo di Parigi fa sperare nell’istituzione di regolamentazioni più severe, che potranno sostituire quelle erose negli ultimi quattro anni.

La vittoria di Trump non avrebbe rappresentato una battuta d’arresto per il mondo della finanza sostenibile, ma avrebbe rallentato sicuramente la transizione verde del pianeta dato che gli Stati Uniti emettono un’enorme quantità di gas serra ogni anno e sono secondi solo alla Cina. Un secondo mandato non avrebbe diminuito l’interesse per gli investimenti in Esg, ma avrebbe potuto creare un quadro normativo che scoraggiasse i gestori dei fondi dall’investire in tali prodotti. Un secondo mandato non sarebbe stato quindi nell’interesse di un pianeta sostenibile.

Gli Stati Uniti visti dallo spazio
Gli Stati Uniti visti dallo spazio © NASA / Unsplash

Gli Stati Uniti, una superpotenza mondiale?

Gli Stati Uniti, in quanto una delle poche superpotenze del mondo, esercitano un’influenza decisiva sia sulla politica internazionale che sul funzionamento interno dei singoli paesi. Dalla fine della seconda guerra mondiale in poi gli Stati Uniti hanno sempre avuto l’obiettivo di espandere la propria influenza politica, economica, sociale e culturale in tutto il mondo. Questo paese ha cambiato il volto della storia mondiale, a partire dalla conferenza di Bretton Woods che ha avuto luogo nel New Hampshire nel 1944, quando furono gettate le basi per le istituzioni che governano l’ordine internazionale ancora oggi, come le Nazioni Unite e la Banca Mondiale. Gli Stati Uniti hanno plasmato gli equilibri mondiali durante i decenni di Guerra Fredda con l’Unione Sovietica e soprattutto con la cooptazione e la coercizione di intere regioni nell’adozione di un modello capitalista neoliberista a immagine dell’economia statunitense.

Eppure il suo super potere è diminuito nel corso dei decenni man mano che nuovi attori hanno acquisito un ruolo internazionale maggiore e altri si sono allontanati dall’orbita statunitense. Inoltre il presidente Donald Trump ha infranto molti degli schemi adottati dai suoi predecessori, scegliendo di “rendere di nuovo grande l’America”, concentrandosi di più sugli interessi nazionali (o almeno sulla sua interpretazione di questi ultimi).

Ciò ha portato a un allontanamento degli Stati Uniti dal ruolo (auto-conferitosi) di difensori dei valori democratici e delle libertà individuali in tutto il mondo, verso una politica estera più disimpegnata basata sulla riduzione degli interventi, ad esempio nelle aree di conflitto in Medio Oriente, e sul potenziamento del protezionismo economico americano, specialmente di fronte alla concorrenza cinese, invertendo la rotta rispetto ai decenni di sforzi aggressivi volti ad esportare il modello di mercato libero. Con la vittoria di Biden, il veterano di Washington sarà in grado di riparare i rapporti interrotti e contemporaneamente a placare i critici della globalizzazione su fronte interno? Tutto il mondo sta guardando.

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