Qual è la situazione a Gaza, tra rastrellamenti e nuovi bombardamenti

Mentre si intensifica l’offensiva israeliana nel sud di Gaza, a nord sono in corso i rastrellamenti nelle case. Ma gli Usa mettono il veto al cessate il fuoco.

  • Israele ha compiuto rastrellamenti a nord di Gaza con uomini lasciati nudi, legati, inginocchiati e bendati.
  • Migliaia di palestinesi si stanno concentrando al valico di Rafah dopo l’incremento dei bombardamenti nel sud di Gaza.
  • Dopo il veto Usa al cessate il fuoco e le critiche di Guterres, ora si riunisce l’Assemblea generale dell’Onu.

Si fa sempre più difficile la situazione a Gaza. Dopo che il mese di novembre si era concluso con sette giorni di cessate il fuoco, dall’1 dicembre è ripresa l’offensiva israeliana sulla Striscia, che ora è concentrata sul sud. I civili palestinesi non sanno più dove scappare, mentre per chi è rimasto a nord è tempo dei rastrellamenti casa per casa. Centinaia di persone sono state fermate e torturate dalle Forze di difesa israeliane, con l’accusa di essere miliziani di Hamas. La gran parte sono poi stati rilasciati perché in realtà civili.

Gaza
Il nord di Gaza ridotto in macerie © GIL COHEN-MAGEN/AFP via Getty Images

Intanto si è acceso lo scontro il seno all’Onu. Il Segretario generale Antònio Guterres ha invocato il cessate il fuoco, ricorrendo per la prima volta all’articolo 99. Gli Stati Uniti hanno però messo il veto a una risoluzione in questo senso. E il bilancio dei morti a Gaza continua a salire e ha raggiunto quota 18mila.

I rastrellamenti a Gaza nord

Il 7 dicembre l’esercito israeliano ha iniziato a far circolare foto e notizie su una presunta resa di centinaia di miliziani di Hamas. La cosa è stata inizialmente ripresa da molti dei principali giornali internazionali, ma con il passare delle ore la versione della resa è stata smentita e sostituita da una realtà dei fatti molto più macabra.

Le immagini della presunta resa hanno mostrato file di uomini nudi, legati, inginocchiati e bendati nel mezzo delle macerie del nord di Gaza. Qui è dove Israele ha concentrato le sue operazioni militari nelle prime settimane di offensiva nella Striscia e la gran parte della popolazione è scappata verso sud. Migliaia di persone però sono rimaste, altre sono tornate nelle loro case durante i sette giorni di cessate il fuoco di fine novembre. E proprio nel nord di Gaza il 7 dicembre sono cominciati i rastrellamenti.

Le Forze di difesa israeliane hanno fatto irruzione nelle case e in una scuola gestita dall’Onu che ospita gli sfollati. Sono stati prelevati i maschi di età maggiore ai 15 anni, quelli che poi abbiamo visto nudi, bendati e inginocchiati nelle strade. Alcuni sono stati liberati dopo il riconoscimento, altri sono stati trasferiti ammassati su camion e jeep in aree isolate. Anche in questo caso, la maggior parte delle persone sono state liberate. “Ci hanno ributtato in strada e siamo tornati a piedi, nudi, nelle nostre case. E le abbiamo trovate distrutte“, ha raccontato uno di loro. E nelle scorse ore anche il giornale israeliano Haaretz, così come l’americano New York Times, hanno denunciato che l’85-90 per cento delle persone vittime del rastrellamento erano civili. Tra loro c’erano anche giornalisti e dipendenti dell’Onu.

L’offensiva a Gaza sud

Mentre a nord vanno in scena i rastrellamenti di civili, a sud la situazione umanitaria si fa sempre più complicata. 1.8 milioni di persone si trovano in questa porzione della Striscia, molti evacuati dal nord proprio da Israele. E ora che quest’ultima sta concentrando le sue operazioni militari proprio sul sud, con l’obiettivo di scovare altri dirigenti di Hamas, le persone non sanno più dove scappare.

Prima c’erano stati i volantini su Khan Yunis, la principale città meridionale, in cui si chiedeva alla gente di andare ancora più a sud. Poi la città è stata bombardata e occupata dai carri armati israeliani, con migliaia di persone che si sono rifugiate a Rafah, l’ultima città della Striscia prima dell’Egitto e dove si trova l’omonimo valico. Ma anche Rafah è ora sotto pesanti bombardamenti israeliani. La conseguenza è che i civili palestinesi si stanno ammassando proprio al valico, privi di cibo, acqua e un posto dove dormire. Con l’unica speranza di riuscire ad attraversare il confine, che però è chiuso. 

Oggi le cifre dell’Onu parlano dell’85 per cento della popolazione della Striscia di Gaza che ha dovuto lasciare le proprie case dal 7 ottobre, cioè quasi due milioni di sfollati. E poi c’è il terribile bilancio dei morti, con 18mila vittime in due mesi, di cui circa 8mila minorenni. Nelle scorse settimane c’era chi come il presidente Usa, Joe Biden, aveva messo in dubbio questi bilanci forniti dal ministero della Salute di Gaza, controllato da Hamas. Ora la rivista scientifica The Lancet ha pubblicato uno studio secondo cui “non ci sono evidenze che il bilancio sia gonfiato”. 

Guterres vs Usa

Di fronte a questa situazione sempre più drammatica, il Segretario generale dell’Onu Antònio Guterres ha alzato la voce. Il 6 dicembre per la prima volta durante il suo mandato ha invocato l’articolo 99 della Carta Onu, con cui si mette in allerta il Consiglio di Sicurezza su situazioni che possono minacciare la pace e la sicurezza internazionale, spronandolo a intervenire per ottenere un cessate il fuoco.

L’8 dicembre il Consiglio di Sicurezza, l’unico organismo dell’Onu che ha il potere di prendere decisioni vincolanti per i suoi membri, ha discusso e votato una risoluzione che prevedeva proprio il cessate il fuoco a Gaza. Ma gli Stati Uniti hanno posto il veto, ribadendo di fatto e come già successo in passato che “Israele ha il diritto di difendersi”. Agnés Callamard, segretaria generale di Amnesty International, ha denunciato che “gli Stati Uniti hanno mostrato uno spietato disprezzo per le sofferenze dei civili di fronte a uno sconvolgente numero di vittime, alla vasta distruzione e a una catastrofe umanitaria senza precedenti in corso nella Striscia di Gaza occupata”. 

Dopo la mancata approvazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza, il Segretario generale dell’Onu Guterres è tornato a farsi sentire, questa volta nella cornice della Cop28 a Dubai. “Stiamo correndo un serio rischio di collasso del sistema umanitario a Gaza, dove la situazione si sta rapidamente trasformando in una catastrofe con implicazioni potenzialmente irreversibili per i palestinesi”, ha sottolineato, invocando nuovamente un cessate il fuoco e contestando le divisioni geo-strategiche che paralizzano il Consiglio di Sicurezza. Per il 12 dicembre è stata convocata una riunione di emergenza dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dove potrebbe essere approvato il testo sul cessate il fuoco su cui gli Usa hanno posto il veto. Una mossa simbolica, visto che le risoluzione dell’Assemblea non hanno valore vincolante.

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