È iniziata l’invasione israeliana del sud della Striscia di Gaza

Decine di mezzi militari israeliani sono arrivati nei sobborghi di Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza. Inizia una nuova fase del conflitto.

  • Dopo l’invasione del nord della Striscia di Gaza, ora le truppe israeliane sono arrivate a sud.
  • Israele ritiene che a Khan Yunis e dintorni abbiano trovato rifugio alcuni leader di Hamas.
  • L’operazione via terra sul sud lascia senza via d’uscita la popolazione palestinese, già evacuata dal nord.

L’esercito di Israele ha lanciato un’operazione di terra anche nel sud della Striscia di Gaza. Dopo due mesi di bombardamenti e l’invasione del nord del territorio, con circa 16mila morti tra i palestinesi, ora Israele ha dato il via a un nuovo capitolo della sua offensiva.

Nei giorni scorsi, con la fine del cessate il fuoco, gli attacchi aerei si erano già concentrati sul sud, proprio lì dove si trova concentrata tutta la popolazione di Gaza dopo l’evacuazione del nord. Ma ora nei pressi di Khan Yunis, la principale città meridionale, sono arrivati anche decine di mezzi militari israeliani. L’invasione della Striscia, dunque, è totale.

Gaza
Bombardamenti israeliani su Khan Yunis, a Gaza sud © SAID KHATIB/AFP via Getty Images

L’invasione del Sud

Daniel Hagari, portavoce dell’esercito israeliano, l’aveva detto nel pomeriggio di domenica 3 dicembre: “stiamo ampliando le operazioni militari in tutta la Striscia”. Una dichiarazione che non poteva riferirsi ai soli bombardamenti, visto che i raid israeliani colpiscono tutto il territorio sin dall’inizio dell’offensiva, ma che doveva per forza di cose far riferimento anche all’operazione via terra. E così è stato.

Prima ci sono stati i volantini di avvertimento lanciati su Khan Yunis, la principale città meridionale. L’esercito israeliano ha detto alla popolazione di andarsene ancora più a sud, verso Rafah, ma nel frattempo ha bombardato proprio Khan Yunis e Rafah. Poi è stata diffusa una mappa della Striscia di Gaza divisa in centinaia di distretti, con l’idea di dare ordini di evacuazione alla popolazione palestinese da un distretto all’altro in base agli obiettivi dei raid. Nel mezzo altre bombe, che dal primo dicembre, giorno in cui è finito il cessate il fuoco, hanno causato oltre mille vittime. E alla fine sono arrivati anche i mezzi militari.

Come ha sottolineato il New York Times, le immagini satellitari del 3 dicembre mostrano la presenza di carri armati a Deir al Balah, a circa tre chilometri da Khan Yunis. Dall’alto si vedono dozzine di mezzi, ma anche barriere erette a difesa delle posizioni israeliane, in quella che il giornale americano definisce i preliminari della “battaglia decisiva”. Finora l’azione israeliana si era infatti concentrata sul nord della Striscia, oggi una terra fantasma ridotta perlopiù in macerie. La popolazione era stata sgomberata a sud e questo faceva pensare che la parte meridionale del territorio potesse essere risparmiata, quanto meno da un’invasione via terra. Ora invece l’assedio militare israeliano – via aerea, mare e terra – è totale. 

Testimoni locali hanno raccontato di carri armati israeliani anche nel villaggio di Al Qarara, sempre nei pressi di Khan Yunis. La strada Salaheddine, che collega la Striscia di Gaza da nord a sud, è ora presidiata dai mezzi di Tel Aviv. E nell’area si stanno moltiplicando i combattimenti tra miliziani palestinesi e soldati israeliani, proprio mentre Tel Aviv ha fornito un bilancio dei morti tra le fila dell’esercito dall’inizio dell’invasione del 27 ottobre: sarebbero 75 i soldati israeliani ad aver perso la vita.

Senza via d’uscita

Oggi nel sud della Striscia di Gaza si trova la quasi totalità della popolazione palestinese. Circa 1.8 milioni di persone, cioè l’80 per cento della popolazione di Gaza, di cui molti sfollati dal nord nel corso dell’offensiva israeliana su quella porzione di territorio. Come scrive il New York Times, l’invasione israeliana in corso a sud in queste ore aggraverà le già terribili condizioni di vita della popolazione palestinese. Ma Israele, che ritiene proprio a sud si nascondano alcuni capi di Hamas, andrà avanti per la sua strada. 

Come emerso da un’inchiesta del giornale israeliano +972 Magazine, ripresa anche dal britannico Guardian, l’uccisione di obiettivi legati ad Hamas è l’unica cosa che conta per l’esercito israeliano e la morte di civili che ne consegue non viene considerato un problema, ma un effetto collaterale sostenibile. Al punto che l’individuazione degli obiettivi da colpire viene relegata a un’intelligenza artificiale. “Nulla accade per caso. Quando una bambina di tre anni viene uccisa in una casa a Gaza, è perché qualcuno nell’esercito ha deciso che non era un grosso problema ucciderla, che era un prezzo da pagare per colpire un obiettivo”, ha spiegato una fonte dell’intelligence israeliana citata nell’inchiesta. Un elemento che spiega perché siano bambini un terzo degli oltre 16mila morti dall’inizio dell’offensiva israeliana del 7 ottobre.

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