
Nel 2020 sono stati uccisi almeno 331 difensori dei diritti umani, spesso nella totale impunità. A dirlo è il nuovo report di Frontline defenders.
Oggi ci sono almeno 200 milioni di donne che hanno vissuto il dramma delle mutilazioni genitali femminili, con drammatiche conseguenze fisiche e psicologiche.
Le mutilazioni genitali femminili, eseguite principalmente su bambine tra i 4 e i 14 anni di età, comprendono diverse operazioni che prevedono la rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni. Le donne che subiscono questa pratica, riconosciuta a livello internazionale come una violazione dei diritti umani, rischiano gravi danni fisici, talvolta irreversibili, oltre a pesanti conseguenze psicologiche.
Per contrastare questo fenomeno, cui sono state sottoposte almeno 200 milioni le donne in 30 paesi del mondo, il 6 febbraio si celebra la Giornata mondiale della tolleranza zero nei confronti delle mutilazioni genitali femminili. L’obiettivo della ricorrenza, istituita dalle Nazioni Unite il 20 dicembre 2012, è quello di incoraggiare i governi, i membri della società civile e tutte le parti interessate ad intraprendere azioni concrete e a potenziare campagne di sensibilizzazione contro questa pratica.
Il rapporto dell’Unicef Female genital mutilation/cutting: a global concern afferma che metà delle bambine e delle donne che hanno subito forme di mutilazione vive in tre paesi: Egitto, Etiopia e Indonesia. Il fenomeno è fortunatamente in calo, tra il 2005 e il 2010 si è registrata una diminuzione del 5 per cento, ma l’obiettivo è ancora estremamente lontano, si stima che il fenomeno possa dimezzarsi entro il 2074. Tuttavia la costante crescita della popolazione mondiale, compresi i paesi coinvolti, potrebbe fare aumentare il numero di ragazze vittime di mutilazioni genitali femminili.
Contrariamente a quanto molti pensano questa usanza crudele non ha radici religiose. Il problema principale è legato alla mancanza di istruzione e al rifiuto di abbandonare usanze, retaggio di una società tribale, considerate normali, anzi, un tempo fondamentali per la vita comunitaria. La mutilazione infatti rappresenta una forma simbolica ma anche materiale del passaggio definitivo della ragazza dall’età della fanciullezza a quella adulta, quindi in età di matrimonio, e favorirebbe quindi la coesione nella comunità.
“Se permettiamo alle ragazze di studiare nel giro di qualche anno il fenomeno sarà debellato. Se però resteranno analfabete, chi farà evolvere la comunità? Chi dirà alla gente che tagliare le bambine è sbagliato?”, ha dichiarato Lucy Yepe Itore, che da anni salva le bambine masai del Kenya dalla circoncisione e dai matrimoni forzati.
Il fenomeno però non riguarda solo i paesi dell’Africa subsahariana, anche in Italia viene praticata la mutilazione genitale femminile, perpetuata da famiglie originarie di paesi dove la pratica è diffusa. Le legge italiana in materia prevede il carcere da 3 a 16 anni per chi pratica la mutilazione.
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