Glastonbury dichiara guerra alla plastica

Si è da poco concluso uno dei più grandi festival estivi mondiali: il Glastonbury Festival, la tre giorni di musica nel Somerset britannico. 175mila spettatori arrivati da tutto il mondo per assistere a 72 ore ininterrotte di musica e vedere l’avvicendarsi degli artisti più significativi dell’anno sugli innumerevoli palchi allestiti all’interno dell’area della Worthy Farm di Piton.

Si è da poco concluso uno dei più grandi festival estivi mondiali: il Glastonbury Festival, la tre giorni di musica nel Somerset britannico. 175mila spettatori arrivati da tutto il mondo per assistere a 72 ore ininterrotte di musica e vedere l’avvicendarsi degli artisti più significativi dell’anno sugli innumerevoli palchi allestiti all’interno dell’area della Worthy Farm di Piton.

 

Come ogni anno, però, a evento terminato e musica spenta, i circa 480 ettari della fattoria di Worthy sono stati lasciati ricoperti da una fitta distesa di rifiuti e spazzatura. Lattine, bottiglie e sacchetti di plastica ma anche sacchi a pelo e tende abbandonate: le stime parlano di undici tonnellate di vestiti e attrezzi da campeggio, compresi 6.500 sacchi a pelo, 5.500 tende, 3.500 materassini, 2.200 sedie…  Ogni anno la situazione è piuttosto impegnativa: 800 i netturbini occupati nella pulizia dell’area per sei settimane di lavoro e 780.000 sterline pagate dagli organizzatori, prima di restituire i campi al loro scopo iniziale, il pascolo di mucche da latte.

 

 

Tutto ciò avviene nonostante Michael e Emily Eavis, i diretti organizzatori di Glasto, siano particolarmente sensibili ai temi ecologisti sin dalla nascita del Festival (nel 1970) – un’intera area è destinata a eventi targati Greenpeace, ogni anno vengono organizzate svariate iniziative per sensibilizzare gli avventori a pratiche più sostenibili e sul sito ufficiale si trova un’intera pagina che spiega ai partecipanti come arrivare a Worthy Farm inquinando il meno possibile e dove si raccomanda di non abbandonare oggetti.

 

La questione, però, è complessa e annosa: sin dal primo grande festival musicale della storia – Woodstock – si è parlato di come poter rendere i grandi eventi musicali sostenibili e, negli anni, sono stati sviluppati piani di green policy nel rispetto dell’ambiente oramai quasi obbligatori per gli organizzatori di tali eventi. Ma come spiega Lucy Smith, organizzatrice dei piani ambientali di Glastonbury: “Affrontare più di 140mila persone ogni anno è una sfida. Non possiamo mettere bidoni ovunque”.

 

In ogni caso, le buone notizie sono almeno due: la prima è che quest’anno gli organizzatori del festival inglese prevedono di riciclare il 60 per cento dei rifiuti (contro il 49 per cento dello scorso anno); la seconda, più consistente, è che Glastonbury sta preparando per il 2015 un piano per una strategia a lungo termine che combatta il flagello delle bottiglie di plastica. Già nell’edizione 2014, infatti, sono state distribuite a tutto lo staff del festival (comprese le crew delle band impegnate) borracce in acciaio inox riutilizzabili e all’interno dell’area del festival sono stati installati rubinetti per la distribuzione di acqua potabile.

 

Bottiglie riutilizabili erano anche disponibili in vendita in loco e i 140mila spettatori sono stati invitati a portarsele da casa con una campagna ad hoc. Questo piano verrà intensificato nell’edizione 2015 con l’installazione di un numero ancora più consistente di punti di distribuzione di acqua potabile e con la sostituzione di tutti i bicchieri, le posate e i piatti di plastica con oggetti riutilizzabili e non più usa e getta, nel tentativo di sradicare l’abbandono di plastica nel grande sito rurale. Così gli organizzatori sperano di rendere un po’ più verde il Glastonbury Festival e cercare di lasciare al festival l’appellativo di “più sporco” solo a causa dell’ormai leggendario “fango di Glasto”.

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