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I 161 ritratti provenienti dalla Fondazione John Kobal e inclusi nella mostra romana “Hollywood Icons” visitabile sino al 17 settembre al Palazzo delle Esposizioni, illustrano i segreti della fotografia di scena e il suo ruolo nel meccanismo mediatico di creazione dei divi hollywoodiani dagli anni Venti in poi.
La seducente spavalderia di Clark Gable, la grazia radiosa e filiforme di Audrey Hepburn, il tratto aristocraticamente british di Cary Grant o le curve incontenibili dell’“atomica” Gilda-Rita Hayworth: il firmamento hollywoodiano della celluloide pullula di miti e leggende che incarnano non solo l’origine storica del divismo cinematografico ma anche la sua più esemplare espressione.
E per quanto all’epoca indubbiamente contassero il carisma personale, la prestanza fisica o le doti attoriali del singolo personaggio, per fabbricare ex novo un’autentica stella del cinema serviva in verità anche una consistente dose di lavoro e di competenze altrui.
I 161 scatti attualmente visibili a Roma, fino al 17 settembre, al Palazzo delle Esposizioni, nell’ambito della mostra “Hollywood Icons”, rivelano appunto il meccanismo di paziente e minuziosa costruzione attraverso il quale i fotografi di scena d’oltreoceano, dagli anni Venti in poi, con perizia quasi artigianale, cesellavano l’immagine pubblica di attori e attrici destinati ad ascendere all’Olimpo delle star.
L’iniziativa, promossa dalla John Kobal Foundation e dall’associazione Terra Esplêndida di Lisbona, rappresenta l’ultima tappa di un percorso che in passato è già approdato in spazi espositivi prestigiosi, quali ad esempio il Victoria & Albert Museum, il MoMa di New York, l’Espaco Cultural Porto Securo di San Paolo del Brasile o, in Italia, la sede friulana di Villa Manin.
L’itinerario fotografico di “Hollywood Icons” si dipana attraverso un’amplissima serie di ritratti distribuiti cronologicamente per decadi, a partire dall’epoca del cinema muto, ovvero da quella Hollywood degli anni ’20 contraddistinta dalle figure leggendarie di Charlie Chaplin o Mary Pickwick.
Inoltrandosi man mano nelle epoche successive si può osservare la graduale trasformazione dell’industria filmica statunitense in un’autentica Mecca del cinema, in cui, accanto ai divi autoctoni, come Marlon Brando, Paul Newman o Grace Kelly, ottengono notorietà e consacrazione anche alcuni illustri personaggi di provenienza europea, da Marlene Dietrich a Greta Garbo, da Marcello Mastroianni a Sophia Loren, l’austriaca Hedy Lamarr o l’iconico regista londinese Alfred Hitchcock.
Ciascuna di queste celebrità riuscirà a divenire tale avvalendosi della sapiente e infaticabile attività di ritrattisti e fotografi di scena che dietro le quinte, a ritmi spesso anche serrati, tentavano di catturare il glamour sofisticato di attori ed attrici producendo le immagini poi diffuse in tutto il mondo dagli studios hollywoodiani.
Tra questi veri e propri artisti dell’obiettivo figurano ad esempio George Hurrell, ritrattista di Joan Crawford, o Bud Fraker, autore dell’indimenticabile locandina di “Colazione da Tiffany”, con Audrey Hepburn alias Holly Golightly immortalata in tubino nero e sigaretta lunga d’ordinanza.
E ancora, tra i numerosissimi altri, Ruth Harriet Louise, capace di condensare in uno scatto epocale tutta l’eterea inaccessibilità di Greta Garbo, Eugene Robert Richee, fotografo della Dietrich, ma anche Robert Coburn, Lazlo Willinger, Ted Allan etc.
Una simile inedita prospettiva visuale sulla storia del cinema proviene dall’appassionata competenza di John Kobal, giornalista, scrittore, collezionista e storico cinematografico di origine austriaca, nato a Linz e prematuramente scomparso a 51 anni (1940-1991).
Prima di creare l’omonima fondazione, Kobal, passato da attore e carriera da corrispondente americano della BBC, autore di una trentina di libri tra i quali “The Art of the Great Hollywood Portrait Photographers”, si impegnò a rintracciare e collezionare, a partire dagli anni Sessanta, insieme ad ogni genere di curiosità o cimelio cinematografico, i negativi e le stampe originali vintage realizzate dai fotografi di scena hollywoodiani.
La mostra romana trae origine appunto da una selezione di tutto questo cospicuo materiale e, tentando di addentrarsi nel backstage della prodigiosa macchina del divismo, ci consente di osservare con nuova e diversa consapevolezza quei volti immortali e fascinosi destinati a lasciare le proprie impronte, tanto reali quanto metaforiche, sul pavimento della mitica “Walk of Fame” losangelina.
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